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Fiat, il modello vincente è la ricerca

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Obama ha scelto la Fiat per salvare dal disastro la Chrysler - ed è stato lui a imporre questo accordo, per una ragione cruciale: la ricerca, la capacità della fabbrica torinese di proporre sul mercato quello di cui oggi c'è bisogno, automobili a bassi consumi, alimentate da energie che diminuiscano il ricatto petrolifero. Dunque, l'Italia, non il Giappone, non la Germania, o la Francia, o l'Inghilterra, si è dimostrata paese leader nella più avanzata ricerca tecnologica. L'Italia e non solo la Fiat, perché consistenti sinergie hanno prodotto questo primato mondiale: una forte èquipe di ricerca interno, finanziamenti mirati dello Stato per finanziarlo, rapporti con un eccellente retroterra universitario un intero mondo, insomma, che ha battuto tutta la concorrenza planetaria «sul prodotto». Marchionne è partito da questo straordinario Know How per costruire poi il suo capolavoro societario. A fronte di questo exploit, che riempie d'orgoglio l'intero «sistema Italia», sarebbe bene che quel centinaio di rettori, cattedratici e soloni che nei mesi scorsi hanno accusato il governo di «immondi tagli alla ricerca» si coprissero il capo di cenere. La vicenda Fiat-Chrysler, infatti dimostra che non sono i fondi sparsi a pioggia alla varie baronie universitarie -spesi al 90% in personale- a «fare» la ricerca. Dimostra che tutti i loro alti lai erano non solo ipocriti, ma falsi. Perché in un economia di mercato, la ricerca deve essere intrinseca al mercato stesso, deve essere promossa dall'industria e compito dello Stato è solo quello di indirizzarne gli scopi verso settori utili all'interesse nazionale. Così fece il governo Berlusconi quando nel 1995 varò il primo provvedimento sulla rottamazione, accompagnato da qualche centinaio di miliardi (di lire) per indirizzare la ricerca dei laboratori Fiat verso le automobili ecocompatibili. Il riscontro lo abbiamo proprio nella vicenda del fallimento della Chrysler. Gli Usa sono il paese in cui più lo Stato investe sulla ricerca, ma nel settore automobilistico è però mancato il baricentro, si è isterilita la cultura industriale con le Big Three (GM, Ford e Chrysler) sedute sulla produzione inerziale di modelli a tecnologia obsoleta, senza alcuna tensione alla ricerca. Infine, i profeti di sventura che tanto riscontro hanno nella sinistra italiana, devono prendere atto di un dato che sempre trascurano: il tessuto industriale italiano si basa essenzialmente «sul prodotto», sulla capacità di proporre al mercato mondiale sempre nuove idee, in strutture medio-piccole ad estrema flessibilità. Il «miracolo Fiat-Chrysler» il frutto di questa cultura industriale, di un mondo dell'industria in cui vi è una straordinaria integrazione tra aziende e maestranze, che produce «ricerca» dentro la produzione. Ma questo universo ormai non è più frequentato dalla sinistra e anche per questo il 58% degli operai, ormai, sceglie il centrodestra a ha abbandonato un centrosinistra che è ormai, semplicemente, drammaticamente, sterile, che sa solo chiedere finanziamenti a pioggia.

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