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Tfr, il governo rinvia e fa infuriare Maroni

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Il Cdm ha rimandato alle Camere il decreto di attuazione della riforma della previdenza complementare

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La decisione ha fatto infuriare Maroni, che l'ha definita «dannosa, ingiustificata e controproducente» e legata a «forti pressioni» di ambienti economici e finanziari. Al momento del voto, oltre al no del ministro Maroni, è mancato anche quello del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che si è allontanato per ragioni di opportunità visto gli interessi della famiglia nel settore assicurativo, e che più tardi ha motivato il rinvio affermando che «ci sono alcuni punti ancora da mettere a fuoco». «Sono assolutamente convinto — ha però aggiunto — che una volta chiarita la situazione su questi punti, la riforma sarà riportata sul tavolo del governo e approvata». Maroni invece si è detto fortemente preoccupato per lo stop di e se al momento il percorso della riforma — ha detto — «non è compromesso», perché l'avvio delle nuove regole era comunque previsto per il primo gennaio 2006, ci sono «rischi reali di non attuazione della delega». Intanto mentre l'Ania, associazione degli assicuratori, ribadisce la richiesta di «libertà di scelta tra i fondi» e apprezza che non sia passata la versione del decreto che prevedeva che il contributo del datore di lavoro potesse essere conferito solo ai fondi integrativi contrattuali, la Confindustria «ribadisce la centralità della contrattazione collettiva». Gli industriali con il presidente, Luca Cordero di Montezemolo, hanno «preso atto» del rinvio alle Camere del decreto e hanno chiesto, oltre alle compensazioni per le imprese che rinunciano al Tfr come fonte di autofinanziamento e alle garanzie per l'accesso al credito, anche una «moratoria di tre anni nell'applicazione del silenzio assenso» per quelle imprese che oggi non hanno i requisiti minimi per l'accesso al fondi di garanzia. I sindacati hanno espresso preoccupazioni per il nuovo rinvio parlando, con il segretario confederale della Cgil Morena Piccinini, di un «colpo di mano» del Consiglio dei ministri «sollecitato non certo indirettamente dalle lobbies delle assicurazioni e delle banche». «Oggi — ha detto Maroni in una conferenza stampa seguita alla riunione del Consiglio dei ministri — c'è stato uno stop a un provvedimento straordinariamente importante. Dietro questo stop ci sono argomentazioni fondate, ma non condivise da me. Ci sono forti pressioni dal mondo economico e finanziario italiano. Pressioni alle quali mi sono rifiutato di sottopormi, ma che evidentemente sono molto forti». Secondo il ministro, con il rinvio del decreto che riguarda milioni di lavoratori e circa 13 miliardi di Tfr maturando ogni anno «queste pressioni aumenteranno». «C'è chi non vuole — ha sottolineato — che la delega venga attuata. Mi auguro che Parlamento sappia resistere a queste pressioni. Temo rischi reali di non attuazione della delega». Maroni comunque ha affermato l'intenzione di lavorare «ancora più intensamente» perché la riforma sia approvata entro i prossimi 30 giorni dal Consiglio dei ministri. Se così non sarà — ha avvertito — ci saranno «problemi rilevanti sul piano politico». La delega di riforma del sistema previdenziale infatti — ha spiegato il ministro — era fatta di due parti, il «bastone» (l'aumento dell'età necessaria per la pensione di anzianità a partire dal 2008) e la «carota» (la previdenza integrativa). «Il venir meno della seconda — ha spiegato — potrebbe voler dire il venir meno della prima».

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