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di GIOVANNI ROSSO LA CORSA del petrolio procede di record in record.

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In volata anche il Brent: il greggio di riferimento europeo giunge a quota 63,64 dollari, il record assoluto dall'avvio delle contrattazioni londinesi. Ad alimentare la corsa del greggio è l'ennesimo calo, il sesto consecutivo, delle scorte statunitensi e le incertezze geopolitiche con le loro possibili ripercussioni sulle raffinerie di petrolio. L'annuncio del dipartimento dell'energia americano sulla flessione delle scorte, scese di 2,1 milioni di barili con una contrazione dell'1% (gli analisti prevedevano un calo più modesto e pari a un milione di barili), è stata una doccia fredda per il mercato, soprattutto in vista delle imminenti vacanze estive, durante le quali ci si attende un aumento della domanda di carburanti. Incremento che si andrebbe ad aggiungere al +1,4% segnato dalla richiesta di benzina nelle sole ultime quattro settimane. La corsa ha preso il via proprio in seguito all'annuncio: le quotazioni newyorkesi sono subito salite, infrangendo un primo record a 64,35 dollari, portando così il Wti al livello più alto dall'introduzione del future, nel 1983. L'incremento del prezzo rispetto alla chiusura di martedì è di quasi 2 punti percentuali. Ma l'impennata è addirittura proseguita e in chiusura è stata toccato il tetto dei 65 dollari al barile. Nel confronto con agosto 2004, il Wti ha guadagnato più del 44%. Londra ha seguito pressochè di pari passo l'evolversi dei prezzi a New York. Il Brent si è portato prima a 63,41 dollari, e poi ha proseguito la corsa spingendosi fino ai 63,64 dollari. Il rischio è che gli aumenti del prezzo del petrolio si ripercuotano presto sulle tasche dei consumatori. Le associazioni prevedono una stangata di 500 euro all'anno per famiglia tra aumenti di benzina, luce e gas. Oltre alle scorte statunitensi ad alimentare le preoccupazioni del mercato e, quindi, a spingere le quotazioni sono i problemi registrati in alcune raffinerie, ma anche il persistere di una situazione geopolitica incerta. Nei giorni scorsi Washington ha deciso di chiudere alcune sedi diplomatiche in Medio Oriente per timore di nuovi attentati. Proprio la possibilità che i terroristi possano colpire aree petrolifere strategiche, come l'Arabia Saudita, prima produttore al mondo di oro nero, agita il mercato facendo prevedere un rallentamento dell'attività.

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