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Il carovita brucia gli stipendi

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La busta paga va in sofferenza davanti all'inflazione che fagocita il potere d'acquisto dei lavoratori. Tanto da spingere sindacati e consumatori a chiedere al governo misure più incisive di quelle annunciate per rilanciare i consumi. Un quadro a luci ed ombre emerge dai dati dell'Istat diffusi ieri. Le retribuzioni crescono dello 0,2% su base mensile e dell'1,8% rispetto ad aprile del 2002. L'aumento mensile è dovuto ai contratti di alcune categorie e all'indennità prevista dal rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Si tratta di 1,8 milioni di addetti che pesano sulla media nazionale (mentre sono in attesa 32 accordi collettivi per un totale di 7,7 milioni di dipendenti). La nota dolente è racchiusa nel dato annuale. Quell'1,8% - infatti - è sensibilmente più basso dell'inflazione che ad aprile di quest'anno ha segnato il 2,7%. Cifre alla mano il potere d'acquisto di uno stipendio è diminuito in 12 mesi di circa l'1%. Ad essere penalizzati sono soprattutto gli stipendi dei settori assicurazione, comunicazione, energia e dei dipendenti pubblici. Invece agricoltura e tessile tengono il passo dell'inflazione. Ma c'è di più. Le retribuzioni orarie sono cresciute meno della media ampliando ulteriormente il gap dall'aumento dei prezzi al consumo. Risultato: il denaro da spendere diminuisce sensibilmente. L'Intesa dei consumatori ha calcolato che dalle tasche dei lavoratori mancano 3-7 miliardi di euro. Le prospettive sono tutt'altro che rosee. Se la Cgil denuncia l'impoverimento del tenore di vita delle famiglie italiane costrette a tagliare i consumi «motore importante di un'economia che ha bisogno di ossigeno», Confindustria segnala «una congiuntura molto bassa» che non fa intravedere segnali di ripresa all'orizzonte. Infine l'Istat sottolinea il crollo della conflittualità sui posti di lavoro. Nei primi quattro mesi dell'anno sono andate perse 3,9 milioni di ore a causa di scioperi con una diminuzione dell'82,4% rispetto all'anno precedente.

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