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L'inflazione morde gli stipendi

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Le mobilitazioni per ragioni politiche prevalgono su quelle per i contratti

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Lo ha confermato l'Istat, che nei primi due mesi del 2003 ha registrato un aumento delle retribuzioni contrattuali del 2,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Nel mese di gennaio l'indice delle retribuzioni per dipendente è cresciuto dello 0,7% rispetto a dicembre 2002. Su base annua l'aumento è stato pari al 2,2%. A febbraio non si è registrata nessuna variazione su base mensile, mentre su base tendenziale l'incremento è stato del 2,2%. L'aumento registrato nei primi due mesi del 2003, rispetto allo stesso periodo del 2002, è stato pari al 2,3%. Nello stesso periodo l'inflazione è aumentata del 2,8% a gennaio e del 2,6% a febbraio, con una nuova impennata a marzo. A gennaio, comunica l'Istat, è cambiata la base dell'indice, non riferita più al 1995, ma al 2000. Nonostante la variazione, è rimasta uguale la media annua del 2002 sull'anno precedente (+ 2,6 per cento). Tra le novità principali dell'aggiornamento, segnala l'Istituto, l'esclusione degli aumenti per le retribuzioni dei dirigenti della Pubblica Amministrazione (circa 250 mila persone, dunque, non rientreranno nel monitoraggio). Nel mese di dicembre sono inoltre scaduti numerosi contratti, facendo scendere a gennaio la quota di contratti collettivi nazionali di lavoro al 38 per cento. Tale valore corrisponde a 45 accordi che regolano il trattamento economico di 4,5 milioni di dipendenti. Il grado di copertura per ciascun settore di attività economica rimane, fra gennaio e febbraio, inalterato non essendo intercorsi in questo periodo rinnovi o scadenze contrattuali. Nel comparto dell'edilizia è in vigore la totalità dei contratti osservati, anche se valori elevati si hanno anche nell'agricoltura e nel settore credito ed assicurazioni. Alla fine di febbraio risultano in attesa di rinnovo 31 accordi collettivi nazionali, che rappresentano il 62% di quelli osservati e riguardano 7,7 milioni di lavoratori dipendenti. A gennaio 2003, l'applicazione degli accordi ha determinato variazioni congiunturali dell'indice orario di più 1,9% nell'agricoltura, più 0,6% nell'industria, più 0,7% nei servizi destinabili alla vendita e più 0,4% nella Pubblica Amministrazione. Nel periodo gennaio-febbraio, precisa l'Istat, il numero di ore non lavorate per conflitti di lavoro è stato pari a circa 1,3 milioni (dato provvisorio). Un risultato che segna un calo del 73,4% sullo stesso periodo dell'anno precedente. Il calo è dovuto al confronto con un anno nel quale è stata forte la conflittualità contro la modifica dell'articolo 18. Nel 2002, ricorda l'Istituto, c'è stato un boom di ore non lavorate per conflitti (34 milioni, dato provvisorio, con un incremento del 373,8% sull'anno precedente). Nel primo bimestre del 2003 la quasi totalità del numero di ore di lavoro perse è dovuto a vertenze estranee al rapporto di lavoro (1,1 milioni di ore pari all' 83,7%). Per quanto riguarda invece le ore perse per motivi legati al rapporto di lavoro, la variazione percentuale di gennaio-febbraio 2003 rispetto al 2002 è di meno 79,8%. Le 212 mila ore perse per motivi originati dal rapporto di lavoro sono state determinate prevalentemente da vertenze per altre cause, rinnovi contrattuali (40 mila ore) e da rivendicazioni economico-normative. Dall'analisi dell' Istituto emerge che nel settore dell' industria si è concentrata la maggior parte di tali ore perse (78,2%), soprattutto a causa degli scioperi nel settore metalmeccanico. «L'ISTAT ci ha scritto la piattaforma per i rinnovi contrattuali». Questo il primo commento di Marigia Maulucci, segretario confederale della Cgil, ai dati Istat sull'aumento delle retribuzioni contrattuali. Un commento condiviso dagli altri sindacati che ora sono pronti a maggiori rivendicazioni.

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