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Rockets Alieni dallo spazio: "La Terra la salviamo noi"

I pionieri dello space rock tornano alla carica col nuovo "Wonderland": "Veniamo da un altro mondo. E a presto ci vedrete nei cartoni animati"

Carlo Antini
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Creature venute dallo spazio. I Rockets hanno impressionato generazioni col look fantascientifico. Un tempo il loro veniva chiamato space rock. Nel 2019 tornano con un viaggio ecologico tra musica e ambiente. Nelle parole dello storico tastierista Fabrice Quagliotti c'è la volontà di restare nell'immaginario non solo per le canzoni. Le hit storiche si intitolano «Future Woman», «Space Rock», «One More Mission» e «Electric Delight». Oggi, invece, si tratta di «Kids from Mars», singolo che ha anticipato l'album «Wonderland». Intanto danno appuntamento giovedì prossimo alla Discoteca Laziale di Roma. Fabrice Quagliotti, come nasce l'idea di «Wonderland»? «È un concept album dedicato ai bambini che sono il vero futuro. «Wonderland» è la Terra, il posto più bello tra quelli conosciuti. L'album è un grido d'allarme per com'è ridotto il nostro pianeta. Pensare che prima era bello e pulito». Quali sonorità avete scelto per il nuovo album? «È un album da band. Nonostante l'utilizzo di elettronica e sequencer il 90 per cento delle parti è suonato davvero. Stiamo facendo un percorso inverso tornando a suonare. È un viaggio nel tempo in cui si sente David Bowie, Supertramp, Linkin Park, Imagine Dragons e Bob Marley. È un album anticonformista». Di questi tempi l'idea stessa di concept album è in controtendenza. C'è voluto coraggio? «Non solo. Oggi sono in pochi anche solo a fare album. Ho preteso di uscire con un singolo in vinile 45 giri e un 33 giri. Il vinile è diventato un oggetto di culto ed è come avere tra le mani una rivista stampata». Un po' di nostalgia del passato allora? «In realtà non è esattamente così. Spesso tornare indietro vuol dire fare un passo in avanti. Oggi si può registrare un disco senza saper suonare o cantare. Le nostre sonorità sono cambiate molto. Utilizziamo l'elettronica in modo diverso e non le stesse tastiere degli anni '80. Mi piace utilizzare la tecnologia intrecciata con tastiere analogiche per dar vita a qualcosa che mi emozioni davvero. Sono passati tanti anni e i membri della band sono cambiati. C'è stato un percorso di crescita e, a un certo punto, per essere moderni bisogna tornare indietro. Ora non scimmiottiamo nessuno. Siamo qui con lo sguardo rivolto al futuro e lanciamo un messaggio di pace». Qual è il messaggio? «Siamo in contatto con le nuove generazioni ma il percorso è appena iniziato. I giovani si sono resi conto che qualcosa non funziona e che bisogna agire prima che sia troppo tardi. Il peggior male della Terra è proprio l'uomo che è l'unico essere vivente in grado di autodistruggersi. L'unico modo per invertire la tendenza è dare spazio ai giovani». Il vostro allora è un intento ecologista? «Non sono un ecologista in senso stretto ma penso che la tecnologia ci possa aiutare a ripulire il nostro pianeta e fermare il degrado. Se guardiamo i reportage scientifici dai fondali marini ci rendiamo conto del disastro che abbiamo provocato. Stiamo assistendo a una lentissima agonia. Se i potenti di turno potessero aprire gli occhi farebbero subito qualcosa per la Terra». Cosa si può fare per invertire la tendenza? «Si deve partire dall'educazione e dalle famiglie. Dalle piccole cose insomma. Non sono un retrogrado ma abbiamo perso il rispetto per le persone e per l'ambiente. I potenti dovrebbero smetterla con la deforestazione. La mia vera speranza sono i bambini che saranno gli adulti di domani. Sono i “Kids from Mars” che danno il titolo alla canzone». Tornando alla musica, qual è stato il segreto dei Rockets già a partire dagli anni '70? «Siamo stati i primi a creare personaggi e un'immagine che si incollava alla musica. Nei Rockets c'è sempre stata grande coerenza tra aspetto visuale e canzoni. E questo è arrivato al pubblico in modo diretto fin dall'inizio». A chi è venuta l'idea della band? «A Claude (Lemoine ndr) che voleva dar vita a un gruppo che rappresentasse lo spazio. Nei fumetti e nei film dell'epoca era un immaginario onnipresente. Volevamo mettere in scena gli alieni e si è rivelata una scelta vincente. La nostra era un'immagine forte che si imponeva al pubblico. Anche grazie a Christian (Le Bartz ndr) che era davvero inquietante. La cosa che ci dà più soddisfazione è la consapevolezza di essere entrati nell'immaginario e nella vita degli altri». Anche oggi utilizzate costumi fantascientifici durante le performance live? «Sì ma le cose sono cambiate rispetto a quarant'anni fa. Utilizziamo sempre una divisa ma oggi abbiamo un'immagine più alla Star Trek. I nostri concerti sono un viaggio musicale e facciamo grande attenzione alle luci». Dopo il singolo e il nuovo album dove atterrerete? «Abbiamo un progetto molto interessante: vogliamo creare un fumetto con i nostri personaggi. Ne abbiamo già parlato con Gianni Bono e stiamo pensando di produrre un cortometraggio di 25 minuti che ispirerà i nostri videoclip. I disegni sono pronti e presto partiremo col montaggio».

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