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Se l'Eco tuona contro la Rete

Il semiologo scatena la polemica. Ma il vero tema è il futuro dei giornali

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L'Eco rimbomba. La rete si anima. I blogger si offendono, i giornalisti fanno melina. Nonno Umberto, Eco, interrogato a margine della consegna dell'ultima laurea honoris causa in «Comunicazione e cultura dei Media» all'Università di Torino spara quello che la maggior parte di noi pensa di conosciuti e sconosciuti che dilagano su Facebook evacuando inconsapevoli frustrazioni a causa dei confessionali aperti un solo giorno a settimana e psicoanalisti, quelli bravi, troppo costosi. «Il fenomeno dei social network - dice il semiologo, filosofo e scrittore (cfr Wikipedia) che peraltro lo ripete da anni - dà diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei premi Nobel». Boom. La Stampa e Il Secolo XIX, che per primi hanno riportato la notizia, estrapolano il titolo e lanciano l'esca. Qualcuno ci casca. Ma basta una breve ricerca, soprattutto fra i blog, per scoprire che, definito il contesto (una conferenza stampa dopo il conferimento della laurea) Eco si è prestato a rispondere a giornalisti e blogger a quel tedio che assilla stampa e stampatori sul futuro dei giornali di carta in concorrenza con la rete che per lo stesso filosofo «da un lato è positiva». «La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet - delucida ancora lo scrittore - è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità. Sta ai giornali filtrare, con un'equipe di specialisti, le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno. I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all'analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù, ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno». Lo stesso Eco è stato costretto a smentire, per tre volte nella sua carriera, notizie infondate diffuse da siti bufala. Come sia, i giornalisti ringraziano per l'illuminato compendio di deontologia. Ma il punto è un altro. La luce s'accende sullo spot involontario dello scrittore agli imbecilli in rete ai quali i giornali «dovrebbero dedicare due pagine di analisi critica». Pubblicità gratuita senza alcun progresso per i giornali che, per fortuna, si dedicano a ben altro consapevoli di una concorrenza che può essere solo salutare e stimolante. Come dimostra il 20 per cento di lettori conquistati dal New York Times da quando il suo direttore ha deciso di affidare a una giornalista senior (pensionabile diremmo noi) la sfida di girare in internet a cercare «Storie di persone» che, pubblicate stanno rendendo copie e contatti. Mentre siamo qui a parlare di imbecilli (chi di noi può essere sicuro di non esserlo per qualcun altro?) c'è dunque qualcuno che fa buon marketing a cattivo spreco. Del resto non esisterebbero «scemi del villaggio detentori della verità» se non ci fosse chi vi si rispecchia. Come dimenticare che in letteratura lo stolto ha un suo ruolo e nemmeno tanto simbolico-aleatorio? Egli parla a vanvera, dice quel che prova e crede diversamente dagli altri senza il filtro dell'opportunismo, in cuor suo sapendo di suscitare attenzione e talvolta scandalo. Chi lo ascolta, disinvoltamente ne ride affidando al venticello verità che gli piacciono seppure strampalate. Ecco perché gli scemi del villaggio sono sempre gli altri. Ciò detto è difficile che Eco o qualcun altro riuscirà a toglierci il piacere di navigare e di appassionarci anche alle scemenze. Accade (fonte archivio LaRepubblica) in alcuni paesi dell'Asia centrale e del Caucaso, o agli abitanti del Tajikistan o dell'Azerbaijan che possono navigare solo secondo le restrizioni imposte dal governo. In Iran (qui il pretesto è proteggere i giovani dalle corruzioni del mondo occidentale, quali il sesso e gli Usa) Libia e Corea del Nord l'accesso è vietato come in Siria. In Vietnam occorre chiedere il permesso al Ministero degli Interni. La Cina vanta un'altissima diffusione di Internet: il governo cerca di controllare gli utenti e anche qui tutti dovrebbero usare l'accesso ufficiale. In Birmania la censura è pressoché totale e c'è una legge che impone a chiunque possegga un computer di denunciarlo alle autorità come fosse un'arma da fuoco. Che mi pare giusto, perché le parole possono anche uccidere. Ma qui comincia un'altra storia...

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