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di Antonio Angeli Una dichiarazione d'amore all'Italia, quella di Quentin Tarantino, al suo cinema, ma anche un po' a tutto quello che è «tricolore».

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Miconsidero uno studioso del vostro cinema». E ancora: «Nei miei ultimi due film ho evocato gli attori italiani e quando durante "Bastardi senza Gloria" ho visto in platea Gloria Guida, Lamberto Bava, Edwige Fenech, Sydney Rome, Barbara Bouchet, Ennio Morricone... mi sono emozionato. Sono loro per me le vere star. Per me è come andare a una festa con gli dei». Quentin Tarantino, occhi (come sempre) un po' allucinati e una gran voglia di raccontare, è in questi giorni a Roma per presentare il suo ultimo «Django Unchained», un western in stile «spaghetti», un omaggio, dichiarato, ai nostri Leone e Corbucci. Il film sarà in Italia il 17 gennaio, distribuito dalla Warner Bros. Tra i protagonisti Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson e Kerry Washington, ieri tutti nella Capitale (tranne DiCaprio) per presentare il film e per la «prima», ieri sera, durante la quale Tarantino ha ricevuto, dal settimo Festival Internazionale del Film di Roma, il premio alla carriera, consegnato personalmente da Ennio Morricone. Il nuovo film di Tarantino è ispirato al «Django» di Sergio Corbucci (correva l'anno 1966), con Franco Nero, che nella nuova pellicola fa un cameo e ieri era presente all'affollatissima conferenza di presentazione. Quelli che noi definiamo spaghetti western «in America li chiamiamo maccheroni western - ha spiegato il regista - ho sempre avuto un debole per questo tipo di film, per il loro surrealismo, la loro musica e per gli estremi che rappresentano». Alla domanda su chi preferisca tra Sergio Leone e Sergio Corbucci, il suo amico «Sam» Jackson si è fatto una gran risata, ma il regista di «Pulp Fiction» ha risposto tranquillamente: «È come il re che deve tagliare a metà il bambino... Amo tutti e due i Sergio, Leone ha creato delle gigantesche epopee, Corbucci è stato più prolifico». Un film che parla in modo... «tarantiniano» dell'epoca dello schiavismo. «In America non credono che i bianchi possano realizzare un film con gli occhi dei neri. A Hollywood c'è sempre il salvatore bianco. Io ho voluto ribaltare questo concetto e ho voluto mettere il cappello di Franco Nero a Jamie Foxx». La storia è ambientata nel Sud degli Stati Uniti, prima della Guerra Civile. Django (Jamie Foxx) è uno schiavo che incontra il cacciatore di taglie King Schultz (Chistoph Waltz). Con questo curioso personaggio, un «dottore-pistolero», Django andrà alla ricerca della moglie Broomhilda (Kerry Washington), ma dovrà vedersela con un feroce proprietario terriero: Calvin Candie (Leonardo DiCaprio). «Possiamo contare sulle dita di una mano i film che parlano di schiavitù - aggiunto Tarantino - rispetto al primo Django il mio lavoro si occupa di razzismo in maniera più ampia. Ho cercato di raccontare il "mio" western. Volevo la figura del mentore: l'europeo bianco Schultz che insegna il mestiere allo schiavo nero Django. Il primo che capisce la schiavitù a livello intellettuale e non emotivo, il secondo invece la comprende subendo terribili violenze. Poi però le cose si ribaltano». Franco Nero, che ha parlato di Tarantino come di un «autore totale», ha detto che «sia il nuovo film che quello di Corbucci sono due pellicole politiche». In patria la storia sul razzismo di Tarantino non è stata accolta bene ed è stata criticata, ad esempio, da Spike Lee. Foxx, premio Oscar come miglior attore nel 2005, ha detto di «non voler specare tempo a parlare di Spike Lee. Nel film ci sono persone di intelligenza e di talenti. Quando ho avuto la possibilità di lavorare con Tarantino l'ho colta al volo».

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