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Tutti i segreti dell'alleanza perduta

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Dai giorni del naufragio della Democrazia Cristiana alle liti che hanno messo in crisi il Popolo della libertà

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Sisa come si sono svolti i fatti anche se aspetti, non credo marginali, resteranno a lungo avvolti nel segreto dei Palazzi dove si sono consumate le liti che hanno portato alla scissione dell'estate del 2010. Non tutto è chiaro, ma almeno risulta pacifico adesso, dopo più di due anni e sulla scorta di studi, analisi, rivelazioni e indiscrezioni che una certa incompatibilità tra i due protagonisti del centrodestra italiano andava maturando da tempo anche per responsabilità delle rispettive «intendenze» che nulla facevano per appianare i dissidi. Tuttavia, per quanto possa apparire ozioso al momento - ma non tanto poi vista la piega che stanno prendendo gli avvenimenti in queste settimane e prevedendo perfino una ricomposizione, paradossalmente «spacchettata» o «federata», di un centrodestra dalle forme e dalle connotazioni perciò inedite (nulla è definitivo in politica, come si sa) - non è peregrino chiedersi «perché Fini ha voluto sfasciare tutto e perché Berlusconi non ha nemmeno provato ad accordarsi con lo sfasciatore né cercato di capire per quali motivi questi intendesse distruggere la coalizione più robusta - in apparenza - della storia repubblicana?». Lo ha fatto con questa domanda, nel maggio scorso, Vittorio Feltri sul «Giornale», che a Fini non ha risparmiato proprio nulla negli ultimi anni. A testimonianza che la ricerca della verità politica è di stretta attualità per capire le evoluzioni di un centrodestra che è sì in decomposizione, ma che comunque ha ancora delle potenzialità notevoli se soltanto trovasse il «federatore» adatto a mettere insieme ciò che sembra essersi rotto per l'inimicizia assoluta tra i due fondatori del Pdl. La tematica viene rilanciata da Angelo Polimeno nel suo libro «Repubblica atto terzo» (Mursia, pp. 231, 17 euro) che rivolgendosi direttamente alle fonti cerca di ricostruire la caduta della Seconda Repubblica e di approfondire le ragioni di uno sfascio politico che all'alba della legislatura che sta finendo non era assolutamente prevedibile. Analista politico tra i più attenti, formatosi alla grande scuola de «Il Tempo» e oggi giornalista parlamentare e inviato del Tg1, Polimeno ricostruisce le vicende salienti degli ultimi cinque anni e risale ancora più indietro scavando nei meandri della fine della Prima Repubblica con una interessante intervista finora inedita a Mino Martinazzoli la cui lucidità si conferma a pieno nella diagnosi che offre del naufragio della Democrazia cristiana soprattutto. Occupandosi della «saga» che ha squassato il centrodestra, Polimeno riporta la ricostruzione di Fini per il quale era nell'ordine delle cose, dopo anni di collaborazione, far nascere un soggetto unitario dalla convergenza tra Forza Italia e Alleanza nazionale. «Non sono affatto pentito - dice Fini - dello scioglimento di An e di aver contribuito a far nascere il Pdl. Ma c'è una cosa che non mi perdonerò mai abbastanza: l'aver sottovalutato il fatto che con Berlusconi sarebbe stato davvero difficile, per non dire impossibile, organizzare in modo democratico quello stesso movimento politico». Non è che non si fidasse di Berlusconi, ma si attendeva «che si tenesse fede a ciò che si era messo per iscritto davanti a un notaio». E qui forse sta la ragione del fallimento. I partiti possono nascere con un atto registrato con tanto di carta bollata? Evidentemente no. Fini, Berlusconi, la destra hanno pagato caramente questa ingenuità e forse lo ha pagato anche tutta la politica italiana che dalla rottura non ha certo tratto alcun beneficio, ma soltanto un incancrenirsi di rapporti che hanno portato alla scomposizione di quello che poteva essere il «motore» di una legislatura costituente e invece si è rivelato un motore impazzito, assolutamente ingovernabile. Anche su questo aspetto Polimeno si sofferma con dovizia di particolari. Il «rinnovamento» che era lecito attendersi in realtà agli inizi degli anni Novanta si presentava con un aspetto piuttosto confuso: la discesa in campo di Berlusconi, lungi dal fare chiarezza aveva innescato un processo di odiosa discriminazione da parte della sinistra che vedeva, dopo lo sconquasso determinato dalla «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto fortemente ridimensionate le sue ambizioni. E lo stesso bipolarismo nasceva e si sviluppava in conformità con un'idea muscolare dei rapporti politici per cui la delegittimazione reciproca non ha portato a ciò che era lecito attendersi dopo la fine, per via giudiziaria, dei partiti tradizionali. Perfino la nuova legge elettorale maggioritaria invece di favorire composizioni omogenee ha innescato - forse unico caso al mondo - la moltiplicazione di soggetti che per convenienza si alleavano per poi dissolversi in coalizioni disomogenee. Che cosa ci si poteva attendere? Quando si era ad un passo dalla conclusione dei lavori della Commissione bicamerale per riformare la Costituzione, presieduta da D'Alema, Berlusconi fece saltare il banco perché la cosiddetta «bozza Boato» sulla giustizia, da tutti apprezzata, non gli andava più bene. E così s'impantanò la Seconda Repubblica. Un sogno durato soltanto quattro anni. Il resto è cronaca di un affievolimento istituzionale e politico che ci ha portato alla catastrofe con la quale siamo alle prese e della quale non sappiamo come ne usciremo. Quasi certamente con uno shock pregiudizievole alla ripresa. Le premesse sono tutte nelle convulsioni politiche descritte con obiettività e lucidità da Polimeno che penetra le ragioni di una fine che nessuno poteva immaginare quando crollò il vecchio e non si modernizzarono le istituzioni in senso più partecipativo e decidente. Come diceva Jacques Maritain, citato da Martinazzoli nella sua conversazione con Polimeno, «il dramma delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia». Se così è c'è di che essere preoccupati. Anche perché far nascere la Terza Repubblica peggio di come è nata la Seconda sarebbe quasi un crimine.

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