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CANNES É sorridente e felice il regista Matteo Garrone che ancora una volta porta a casa un premio importante per l'Italia e fatica a trattenere l'emozione, sfoggiando un curioso papillon avorio.

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«GrazieMatteo, una cosa così non me la sarei mai aspettata» gli ha detto. E lei Garrone, si aspettava di vincere No, una vera sorpresa. Ho ricevuto una telefonata. Anche in Reality il protagonista è legato a una telefonata per entrare nel Gf. Solo che è vittima di uno scherzo e la chiamata non arriva mai. Invece a me è successo. Ha visto Nanni Moretti negli ultimi giorni? No, ma gli devo la mia cariera, ho cominciato a lavorare con lui. Moretti ha detto che ha votato il film insieme ad altri giurati, spiegando che è piaciuto perché mischia houmour e dramma. Ha aggiunto che un altro suo merito è aver messo da parte il narcisismo di regista per concentrarsi sui personaggi. Tutto vero, sono contento che se ne siano accorti i giurati. Dopo "Gomorra" volevo trovare una favola, però credibile. Ma lì aspettavo di vincere, per "Reality" no. Come mai lei romano fa film su Napoli? Mia nonna è napoletana. Spesso mi sono trovato a Napoli e la città mi ha ispirato parecchio. Garrone, parli del suo film. Ho raccontato un Pinocchio moderno, candido, ingenuo che insegue il sogno del successo facile nella tv, il nuovo eldorado che fa sentire l'olimpo in terra, un nuovo paese dei balocchi. Ma non non mi sento di dire che è rappresentativo di tutto il Paese. È un film su un uomo comune, perché desidera quello che tanti desiderano. Ovvero la fama e i soldi facili, senza fatica? In "Reality" c'è la fiaba, l'aspetto illusorio del sogno che mi interessava molto. Ma non si perde mai la verosimiglianza». Perché riappare Ciro Petrone, il ragazzino con le armi in pugno diventato il "manifesto" di «Gomorra»? Dopo "Gomorra" cercavo un soggetto che fosse all'altezza come potenza o forse ancora più sorprendente poi mi sono reso conto che stavo andando incontro alla catastrofe. Alla fine mi sono imbattuto in una storia piccola, realmente accaduta a Napoli, una vicenda semplice, popolare, senza pretese, magari metafora di qualcosa altro e così con Chiti, Massimo Gaudioso, Maurizio Braucci è cominciata la sceneggiatura. A quali grandi maestri si è ispirato? Ho trovato un palazzo del '700 dove alloggia il famiglione del protagonista a Barra e l'ho messo in scena come una quinta teatrale. L'omaggio è ai grandi maestri della commedia, ma anche al primo Fellini dello "Sceicco Bianco". Il un matrimonio con la carrozza trainata dai cavalli esiste ancora nel sud Italia? Sì, esistono la location e quel genere di matrimoni lì. Come è arrivato ad un finale tanto coinvolgente? Il finale, con il protagonista ormai impazzito che riesce entrare nella casa del Gf, è stato inventato sul set. Oltre ad Aniello Arena, il resto del cast è tutto napoletano (a parte la breve apparizione di Claudia Gerini) e sono tutti di estrazione teatrale. Come ha scelto il protagonista, Aniello Arena? È in carcere, sta scontando la sua pena ma è felicissimo di essere presente qui con il film, è la sua prima opera cinematografica. Arena è in prigione da anni, 12 anni fa a cominciato a fare teatro con la Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra, diretta da Armando Punzo. Din. Dis.

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