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Maurizio Gallo Il suo cognome è diventato sinonimo di pedofilo.

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EppureGino Girolimoni, accusato di aver ucciso quattro bambine e avere abusato di altre tre nei quartieri popolari della Capitale fra il 1924 e il 1927, era innocente. Non fu nemmeno processato, ma prosciolto nel 1928. Le prove contro di lui vennero spazzate via come un castello di carta dal vento delle prime verifiche. Ma quello che fu certamente uno dei più colossali errori giudiziari del secolo pesò sulla vita di quest'uomo benestante, galante ma pacifico, distruggendola e trasformandolo nel fantasma di se stesso. Girolimoni morì povero e solo come un cane nella sua stanza in subaffitto su lungotevere degli Artigiani il 19 novembre 1961. E il vero serial killer di bimbe restò un'ombra. Sul caso, sicuramente il più eclatante e feroce di un assassino seriale pedofilo nel Novecento, sono stati scritti molti libri. L'ultimo in ordine di tempo, però, ha una peculiarità. Non solo ricostruisce il clima dell'Italietta durante la conquista del potere da parte di Mussolini e l'atmosfera di rioni oggi quasi inesistenti (come Borgo, sventrato da via della Conciliazione). Ma tenta un'analisi investigativa dei delitti basandosi sulle moderne tecniche. «Un mostro chiamato Girolimoni», di Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani (Sovera edizioni, 175 pag. 15 euro), ripercorre i raccapriccianti episodi, sonda le varie piste, mette a confronto indizi e sospetti, scandaglia i personaggi coinvolti, ispeziona i luoghi, alcuni dei quali rimasti come allora. Tutto ciò anche grazie al fatto che uno degli autori è un esperto della scena del crimine e lavora per la Polizia scientifica della Capitale. La nuova indagine di Palmegiani e Sanvitale esamina anche le prove a carico di un altro presunto colpevole, il pastore anglicano settantunenne Ralph Lyonel Brydges, che il funzionario di polizia Giuseppe Dosi «punta» come un segugio implacabile, suscitando le ire del fascismo, ancora in buoni rapporti con i britannici, e finendo anche in manicomio. Ma anche se Brydges aveva tendenze pedofile, accertano gli autori, non era un killer. Chi era allora il «mostro»? Il libro propone un preciso profilo psicologico in base al modus operandi. Ma il suo volto e il suo nome resteranno per sempre un mistero.

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