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di Lidia Lombardi Installazione o istallazione? That is the question.

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Èuna fucina di pittura&scrittura e di sé dice: «Da ragazzo volevo suonare il basso ma la vita mi ha portato a essere pittore». Dopodiché ne ha fatte di tutti i colori. Quadri, ceramiche, manifesti, fumetti, copertine, t-shirt, spillette. E collezione di bassi elettrici oltre a quella - smisurata - di libri futuristi. Dunque, istallazione o installazione? Il sulfureo Pablo dedica all'interrogativo un capitolo del suo «Controstoria dell'Arte», edito da Gallucci. Un compendio alla rovescia sui creativi di tutto il mondo e di tutte le epoche, a cominciare dai grafitari d'antan, i cavernicoli che inventavano per sopravvivere, dalla punta della freccia al disegno, nei loro antri, della preda da abbattere. Artisti puri al massimo (necessità di esprimersi quando non esisteva commercio) e utilitaristi-mistici (il prodotto era «preghiera, strumento di educazione, emancipazione dall'animale che è in noi»). Dunque, istallazione o installazione? Echaurren, romano de Roma per via materna (nella Città Eterna è nato l'anno di Grazia 1951 e abita sul Lungotevere, non lontano da Castel Sant'Angelo) si arrovella per scriverlo esattamente, nel suo manuale da contestatore del sistema dell'arte («un intreccio di pastette, macchiette&marchette, dominato da cosche, cricche, cupole, caste, mafie, sturm un'dranghetosi che dettano legge», si sfoga coniando una lingua arruffata, contaminata per divertimento e invettiva, un po' alla Gadda). Ma il punto delle installazioni è un altro, spiattella il Nostro. «Sono opere concepite per un luogo particolare, per una sede speciale, per quella sede transustanziale». I radical chic da drink in terrazza le chiamano pure «site specific». Così «uno ha a disposizione un salone da museo e che fa? Ti ci piazza un bar in piena regola, funzionante in tutto e per tutto, in modo che gli avventori creino l'evento, oppure ci mette un cumulo di spazzatura raccomandandosi che gli addetti alle pulizie il mattino dopo non buttino tutto nel cassonetto. Infatti è successo. O meglio ancora, ci sistema una dozzina di donne nude a fare le belle statuine...La donna nuda fa sempre la sua porca figura...». Il fatto è, argomenta Pablo, che a fare l'opera d'arte non è qui l'opera in sé. È il contenitore a dar lustro all'istallazione. «Più il sito è importante, più funziona. Non è l'opera che nobilita la cornice, è la cornice che crea l'opera secondo un esilarante ribaltamento di senso«. Anche nei secoli passati ci sono cose che non gli piacciono. E non capisce perché gli storici dell'arte ci si incaponiscano a parlare estasiati di capolavori. I mosaici bizantini sono un ritorno indietro rispetto alla pittura romana, perfino a quelle statue SPQR che, tutte a colori, possono sembrare pacchiane alle nostre raffinate sensibilità, e infatti gli scultori neoclassici, con somma incompetenza, vagheggiavano l'antico con diafane fanciulle o dei o Paoline Borghese in posa da Venere. E però, quelle figurine tutte uguali, piatte, impersonali nei cortei ravennati i bizantini le facevano così perché credevano che l'individuo, se non insufflato dal Gesù Redendore o Pantocratore, rimanesse «una marionetta». Invece oggi quanti ce ne sono di pittori facili facili, che non sanno che cosa sia il «ben fatto, il mestiere, la perizia dell'artiere». Vivacchiano scopiazzando le idee degli altri, perfino gli oggetti in bella mostra nei musei contadini. Fanno così gli esponenti dell'arte povera. O i «furbi di tre cotte come quella lenza di Germano, e il Clan d Celantano», satireggia Echaurren. Che paragona - qui in sintonia con Vittorio Sgarbi, del quale parliamo in questa pagina - il Grande Cretto di Gibellina «a un castagnaccio bruciacchiato». Nell'Olimpo di Echaurren ci sono i non integrati, i rivoluzionari. Nell'altro secolo i Futuristi. Liberi da ogni lacciuolo di convenienza. «Marinetti era uno che alla professione con tanto di regio diploma contrapponeva la passione e l'innovazione senza mezzi termini. Uno che permetteva a chiunque di accedere all'empireo dell'arte senza passare per la selezione e l'istruzione del censo. La sua intuizione che l'arte è alla portata di tutti rimase la più ardita demolizione dell'erudizione al potere». Quintessenza proletaria, quella che liberava la creatività dalle barriere accademiche e quindi di classe. Tanto è vero che i Futuristi piacevamo a Gramsci. Li zittirono, il professore sardo e la banda di Marinetti. Ma tant'è. I critici d'arte non capirono neanche Picasso, e coniarono per lui l'etichetta dispregiativa di Cubismo. E oggi, chi sono quelli che non fanno compromessi con il mercato dell'arte? Gli invasati della Street Art. Non gli servono galleristi, direttori di musei, segnalazioni su riviste specializzate. Gli basta un muro. «Dio gliene renda merito».

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