Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Favino: Strumentalizzate le mie parole su A.C.A.B.

default_image

  • a
  • a
  • a

Èevidentemente una sciocchezza tale che non meriterebbe neppure di essere smentita ma per il rispetto del mestiere che faccio, della delicatezza dell'argomento del film "A.C.A.B.» e soprattutto per rispetto dell'intelligenza di chi va al cinema, non posso non stigmatizzare come fuorviante quanto titolato». Pierfrancesco Favino, protagonista con Filippo Nigro del film, e anche ospite ieri di Victoria Cabello a «Quelli che il calcio...», su Raidue, hapreso carta e penna per scrivere una lettera al quotidiano e fare così chiarezza. «Sbagliando, questo lo ammetto, pensavo parlando con "Libero", di avere a che fare con professionisti responsabili e interessati alla complessità delle questioni e non alla loro strumentalizzazione. Peccato», conclude l'attore . Nel film di Stefano Sollima «A.C.A.B.», acronimo di "All Cops Are Bastards" (motto coniato dal movimento skinhead inglese, e 40 anni dopo adottato dalla guerriglia urbana in piazza e negli stadi di tutto il mondo contro i celerini, ovvero i «poliziotti bastardi), Favino interpreta il Cobra, con una casa piena di busti del Duce e katane. Nella conferenza stampa del film, l'attore ha spiegato che in realtà «quando ti ritrovi a fare un ruolo con tanto di casco e scudo e con gente che davanti ti sputa, un po' cambi la tua visione delle cose. Insomma ti puoi definire pacifista quanto vuoi, ma solo fino a quando qualcuno bussa alla tua porta e minaccia la tua famiglia. Dopo tanti allenamenti di rugby e tecniche di difesa e attacco per entrare nella parte», Favino ha toccato con mano «la naturale aggressività dell'uomo: d'altronde, che sia la pistola del Libanese o il manganello di questo celerino, sono ruoli che ti cambiano. L'importante è non relegare tra queste frange, ovvero poliziotti, ultras e rumeni, la violenza della società: vorrebbe dire scambiare morale con moralismo». I celerini di Nigro, Favino e Giallini sono combattenti fedeli a un reparto, intrappolatai in un pensiero barbaro e radicale. La macchina da presa testimonia le tensioni e lo stress che gli agenti (del film) vivono, spesso ostacolati dalle burocrazie e dalle gerarchie. Il regista mette a fuoco uomini biasimati e malpagati, male addestrati e molto poco equipaggiati, che devono agire in nome dei valori democratici. Sulla strada, però, il controllo gerarchico si allenta e gli uomini restano soli con la paura di un «nemico» da tenere a bada.

Dai blog