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Sul palco Lavia e la figlia Lucia uniti tra vita e arte

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Èil dramma di un uomo onesto che vede crollare tutta la sua vita come un castello di carte: da vedovo inconsolabile, che ha eretto alla moglie scomparsa un "monumento alla santità", si trasforma nella vittima ignara di un universo di menzogne e inganni, in una pedina giocata dagli altri a proprio vantaggio. Scoprirà, infatti, che l'adorata figlia Palma è in realtà nata da una relazione adulterina della consorte tanto pianta e che il suo vero padre è il senatore Salvo Manfroni, da lui servito per anni con infinita dedizione. Lavia incontra la purezza di Martino Lori partendo dalla sua intima condizione di vinto dal dolore e approdando molto lentamente alla reazione di chi denuda le maschere che lo hanno illuso, vilipeso, intrappolato. La sua prova d'attore è forte, tesa, energica nel distanziarsi dalle intonazioni di tutti gli altri, nell'inseguire i percorsi interiori del personaggio, nel ripercorrere l'intero e variegato arco del suo traumatico cammino di conoscenza della verità. La recitazione sorvegliatissima nel nitido sviluppo emozionale sembra però anche assecondare la potenza della creatura scenica nel dominare il suo interprete reale. La geniale dialettica pirandelliana raggiunge la massima esaltazione nei confronti a due fra Martino e Palma, in cui Lavia affronta sul palcoscenico la vera figlia Lucia, avuta con Monica Guerritore, raddoppiando la potenza di un incontro-scontro edipico tra vita e arte o viceversa. E di questa dinamica si avvale la giovane attrice, suggellando un'ottima prestazione scenica anche grazie a una presenza incisiva e a un portamento sicuro e sinuoso. Convince pure la grinta di Daniela Poggi nel ruolo della madre della morta, che viene invece evocata in un'apparizione coreografica della danzatrice Alessandra Cristiani come un fantasma dai capelli fulvi destinato a incarnare lo spauracchio dell'erotismo. Gianni De Lellis ben supporta la sfrontata inaffidabilità di Manfroni e Roberto Bisacco aderisce pienamente al compito del marchese Gualdi. La rappresentazione si anima in crescendo, approdando a un finale chiarificatore, se non completamente pacificante. Merita un encomio il gusto figurativo della grandiosa e razionale scenografia di Alessandro Camera, splendidamente illuminata da Giovanni Santolamazza e abitata con stile dai perfetti costumi di Andrea Viotti, che comprende anche la significativa scultura tombale da cui tutto parte e a cui tutto si riconduce.

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