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Benito romantico e disperato

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Il duce ordinò all'amante di distruggere gli scritti che arrivano in libreria dopo una contesa giudiziaria

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L'atmosferasi appesantisce ogni giorno, ogni ora di più. All'interno: dove il Partito non riesce a riscaldare l'ambiente che rimane refrattario, mentre continua la campagna contro gli uomini del governo e col solito motivo degli uomini «nuovi». In realtà dopo quattro mesi il mio bilancio si chiude in assoluto passivo. A poco a poco la mia autorità è stata annullata, il mio prestigio – quello che rimaneva e non era molto – è ridotto a zero. Nelle provincie alpine e adriatiche il mio nome è assolutamente ignorato e il mio governo schernito, sento che è proibito riprodurne le decisioni. Nel resto, continua la guerriglia civile, con rappresaglie e fucilazioni quotidiane. Disordine morale fortissimo. La metà dei giovani sono affluiti alle caserme più per le misure prese contro i genitori, che per senso del dovere. E quella metà non ha trovato, non dico le armi, ma nemmeno le uniformi. E allora se ne sono tornati a casa, o si sono dati alle formazioni cosiddette «ribelli». Potrei gettare altre pennellate sul quadro, ma te le risparmio (pregandoti ancora una volta di stracciare queste missive)(...). Sono qui vicino al telefono e non mi decido a telefonarti. Preferisco scriverti. L'idea di essere controllato mi è intollerabile, così come l'idea certezza che qualcuno ascolta ciò che ti dico. Quanto all'incontro di cui mi parli, avverrà, ma non è più come prima. Oggi io rappresento un'Italia diminuita massacrata, crocifissa che non possiede un cannone, dico uno solo. Tutto il giorno io mi rodo il fegato, come l'avvoltoio della mitologia e il sangue trema letteralmente nelle mie vene, data l'eccitazione in cui vivo. Ti prego di stracciare questa lettera, nella quale mi sono dimenticato di parlare di noi. Ti amo ed è tutto. Tuo Ben “sognatore naufragato”. (3 febbraio 1944) Cara, sono le nove e 15 e sono stanco. Ho molto lavorato. Molto parlato. Ho letto con emozione le tue lettere quelle di prima e di ieri. Ti risponderò a lungo domani. Scusami. Facciamo pace. Ti abbraccia il tuo Ben. (23 febbraio 1944) Cara, ho dimenticato il nostro incontro dell'altra sera. Questione di nervi. Noi siamo due esseri – tremendamente feriti – che a un certo momento non si controllano (...). Come al solito, la tua sensibilità amorosa, non ti ha ingannato. Siamo in un'atmosfera che ricorda il 25 luglio infame. Una crisi è in atto. La situazione si appesantisce ogni giorno, ogni ora di più. Dopo cinque mesi – compiuti ieri – la mia autorità è nulla, il mio prestigio – anche di uomo – compromesso; gli italiani – anche a Roma – secondo notizie portatemi brutalmente da una medaglia d'oro, mi considera no defunto; forse dispiace a loro di sapermi vivo e diventato il più ridicolo personaggio d'Europa. Persino paesi come la Spagna e l'Ungheria si rifiutano di prendermi sul serio, in questo crepuscolo della mia vita. Io conto meno del due di coppe. Chi governa l'Italia non sono io. Io faccio da “paravento” come qualcuno ha detto a Villa Feltrinelli. Il popolo mi distima e mi odia. Dopo un mese, non sono riuscito a portare un solo soldato a Roma. Sono partiti, fra fiori e applausi, ma non si sa dove sono andati a finire. Altri italiani sono morti, ma nessuno ne parla. A Trieste tutte le scritte murali col mio nome sono state imbiancate. Me ne infischio, ma è un sintomo. Adesso le caserme si riempiono di soldati, dopo il mio drastico bando – ma probabilmente dovrò mandarli a casa, perché non ci sono le uniformi. Il mio stato d'animo è di cupa disperazione e di impotenza. È lo stato d'animo che tu conosci. Siamo di nuovo al quinto atto del dramma. Bisogna che tu ti faccia il tuo piano, onde non essere travolta, tu che sei assolutamente fuori questione. Naturalmente di trasferimento non si parla più o quasi. Tutti coloro che dopo infinite peripezie vengono a trovarmi, partono coll'impressione che io sono un “prigioniero” e diffondono la voce nelle provincie dove sono vilipeso e schernito. Ancora una volta ho sognato, ma è veramente l'ultima. Tu puoi ancora sognare perché hai la vita dinanzi a te. Addio. Ti abbraccio con molta tenerezza Ben. (24 febbraio 1944)

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