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di Giuseppe Sanzotta Pigro, grasso, misogeno, amante della buona tavola.

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Illavoro è il mezzo per garantire un tenore di vita elevato e non gli dedica nemmeno un minuto più del necessario. Eppure è l'investigatore che non sbaglia un colpo, che risolve anche i casi più intricati. Non usa i pugni, non la pistola. Nessun inseguimento ad alta velocità. Anzi non guida. Le armi di cui si vanta, non celando affatto presunzione e un complesso di superiorità, sono l'intuito e l'intelligenza. La capacità di mettere insieme razionalmente tutti i tasselli per arrivare alla conclusione e inchiodare l'autore più abile di un omicidio. Stiamo parlando di Nero Wolfe, il ciccione, 150 kilogrammi portati senza pentimento e senza essere mai sfiorato dalla tentazione di diete o attività fisica, nato dalla penna dello scrittore statunitense Rex Stout. L'investigatore fa il suo esordio nel 1934 per finire la sua carriera intorno agli anni '70. La faccia americana e moderna di Sherlock Holmes. Tutti e due ben distanti da detective come l'ispettore Callaghan. Ben lontani anche da quell'agente 007 che presto rivedremo sugli schermi, che vince perchè è forte, ha armi sofisticate, rischia la vita, lotta, ha fascino. Non è pensiero, è azione. E che azione. La grande forza di Nero Wolfe invece è nella meticolosa attenzione dei particolari e della psicologia umana. Lui sembra sempre seguire con fastidio i suoi casi, la passione, l'avventura e i rischi sono tutti per il suo aiutante Archie Goodwin. I suoi occhi, le sue gambe, il raccoglitore di indizi che il simpatico-antipatico ciccione esamina con finto distacco. E proprio l'assenza di emozioni sembra essere la carta vincente. Dire che sia un mito, un trionfo della mente sull'azione è scontato. Quante volte ci siamo chiesti noi che abbiamo amato questo severo signore che forse gli investigatori di oggi avrebbero molto da imparare da lui? Tante, sempre dopo un caso insoluto. Con lui c'è la rivincita della ragione, diciamo anche della cultura sulle fredde analisi di laboratorio, sul luminol, su quel dna che dovrebbe inchiodare senza dubbi un colpevole e che invece diventa un elemento di confusione, di incertezza. Una prova che una volta smontata lascia senza cartucce l'accusa. Lo abbiamo visto a Perugia e a Garlasco. Delitti senza colpevoli, per la Giustizia. La sua è la vittoria dell'uomo sulle sofisticate tecnologie della polizia scientifica che troppo spesso guidano l'indagine. I meno giovani, anche se non hanno mai avuto tra le mani i 33 romanzi di Rex Stout e i 34 romanzi brevi, hanno potuto conoscere l'ingombrante investigatore in una fortunata serie televisiva in cui Nero Wolfe era Tino Buazzelli e il focoso Archie Goodwin era interpretato da Paolo Ferrari. Ed era difficile leggere i gialli senza avere nella mente quelle figure, che perfettamente interpretavano i due protagonisti. Poco impressa resta un'altra figura sempre presente nei romanzi, il cuoco svizzero Fritz Brenner. Eppure lui era presente e come. Rappresentava il gusto, il piacere. La bellezza era riservata alle orchidee. Stupisce che un personaggio del genere sia nato proprio nella patria della tecnologia. A ben pensarci Nero Wolfe è il più europeo degli investigatori. Attaccato alle tradizioni. Dietro questa figura c'è tutta la nostra storia, c'è tutta la riflessione sull'animo umano. Lo studio dei comportamenti, le debolezze, la vanità, la presunzione. Una scala sociale rigida che non ammette fuori campo: c'è il signore, il cuoco, il detective, il giardiniere. Ognuno rigidamente limitato al suo ruolo. Tutto o quasi l'opposto dell'immagine dinamica degli Usa nella metà del Novecento. Dove tutto è movimento, dinamismo. Certamente questo non è l'unico esempio del detective pensatore, c'è un filone ampio rappresentato da tanti esempi. Come non pensare a quell'ispettore Poirot nato nella mente della grande Agatha Christie? Molti i tratti comuni, soprattutto la ricerca dell'eleganza. Almeno quella di un tempo. Ma l'ispettore si muoveva, era presente sui luoghi del delitto. Wolfe no, dalla sua casa dominava tutto. Nella sua casa sfilavano i sospetti. Nella sua casa venivano scoperti i delitti e gli assassini. Adesso vengono ripresentati al pubblico i romanzi di mister Rex, viene rispolverato questo personaggio, questo modo antico e mai troppo rimpianto di affrontare le questioni della vita comprese le indagini di polizia. Vengono ripresentate dopo una sbornia di Rambo, di conflitti a fuoco. Di super eroi. Oppure dell'esaltazione religiosa delle conquiste della tecnologia che consentirebbero da un granello di sabbia di raccogliere tutti gli elementi decisivi in un'indagine. Tutto questo trascurando l'importanza dell'esperienza, della riflessione, dell'intuito. Dell'uomo. E con Nero Wolfe tutti possiamo fingerci investigatori, lo siamo stati noi che abbiamo letto quei romanzi tanti anni fa, possono diventarlo i più giovani che lo leggeranno adesso nelle nuove edizioni. La fortuna di questi romanzi è data dal fatto che rappresentano la voglia di voler dire la nostra anche nei casi più complessi. Lo testimonia il successo delle trasmissioni tv in cui vengono analizzati i misteri irrisolti, i fatti di cronaca nera. Perché un po' tutti noi, pur senza elementi concreti, analisi di laboratorio e altro, giudichiamo, individuiamo delinquenti, gli elementi di innocenza o colpevolezza. Siamo tutti avvocati e giudici. Nero Wolfe, a prescindere dalle sue caratteristiche, impersona questa possibilità. Quasi uno di noi, che usa la testa come unico elemento di indagine. È piaciuto e piacerà ancora per questo: perché rappresenta la vittoria della ragione sull'azione e sulla tecnologia. Perché è la vittoria dell'uomo. Lunga vita a Nero Wolfe.

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