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Giallo van Gogh: un killer lo uccise

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Gli sparò un compagno di sbronze con la mania delle armi Fu un incidente. Vincent morente non volle accusare l'amico

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Ilmaestro del colore fu ucciso da un balordo suo amico, uno fissato con le armi che girava sempre con un ferrovecchio di pistola da cowboy. Ma dal quel ferrovecchio, la sera del 27 luglio 1890, partì la pallottola che gli avrebbe tolto la vita. È arrivato nelle librerie (inglesi, per quelle italiane bisognerà attendere ancora un po') una nuova monumentale biografia di Vincent Willem van Gogh, artista olandese e, probabilmente, pittore più conosciuto al mondo. «Van Gogh: The Life», un «librone» da quasi mille pagine, è firmato da Steven Naifeh e Gregory White Smith, autori premi Pulitzer che pubblicano questa complessa opera frutto di oltre 10 anni di ricerche. La biografia è stata già definita da Leo Jansen, curatore al van Gogh Museum di Amsterdam, come «la biografia definitiva dei prossimi decenni». Il libro è ampio, complesso e cerca di affrontare in modo globale la vita tormentata di questo artista che affascina, stupisce e continua, a 120 anni dalla morte, a far discutere. Il lavoro svolto da Naifeh e White Smith, aiutati da oltre 20 ricercatori e traduttori, è enorme. Ogni lettera scritta dall'artista, quasi mille, ogni libro scritto su di lui, ogni volume che van Gogh avrebbe potuto leggere, sono stati passati al setaccio. Le rivelazioni sono molte e gettano nuova luce sulla vita del pittore olandese. Secondo gli autori la famiglia di Vincent cercò di internarlo in un manicomio ben prima che lui stesso si facesse ricoverare di sua spontanea volontà. L'artista litigò tanto furiosamente con il padre che alcuni familiari lo accusarono di averlo ucciso. I malanni di van Gogh (e forse, chissà, anche la sua vena artistica) furono causati da un mix di manie e depressione e anche da una forma di epilessia. Insomma c'è una nuova mole di dati sulla vita dell'artista, ma è l'ipotesi di omicidio, contenuta nell'appendice al termine delle 900 e più pagine della parte principale della biografia, che più fa discutere gli esperti. Naifeh e White Smith sono giunti alla conclusione che il colpo fatale venne esploso da René Secretan, un sedicenne, di buona famiglia, in villeggiatura a Auvers-sur-Oise, in Francia, a una trentina di chilometri da Parigi, dove morì il pittore. René indossava quasi sempre abiti da cowboy acquistati a Parigi. In più si portava dietro una pistola vera, di piccolo calibro, che non funzionava bene. Il ragazzo aveva una relazione complicata col pittore: gli offriva da bere, ma allo stesso tempo lo tormentava. Van Gogh conosceva bene anche il fratello maggiore dell'adolescente, Gaston Secretan: per lui nutriva rispetto e amicizia. Il giorno in cui l'artista rimase ferito nel campo dove andava a dipingere i ragazzi erano certamente insieme. Secondo la tesi dei due studiosi il giovane Secretan, in compagnia del fratello, avrebbe sparato per sbaglio al pittore e van Gogh, mentalmente disturbato, che soffriva di depressione cronica, dichiarò di essersi sparato da solo per proteggere i due ragazzi, coprendo i colpevoli del proprio omicidio. L'artista, soffrendo molto, morì due giorni dopo il ferimento. «Se avesse voluto davvero ammazzarsi avrebbe fatto meglio a spararsi in testa - spiegano gli autori - Invece si trascina fino a casa e muore 30 ore dopo. Quando gli chiedono se avesse tentato di suicidarsi lui risponde "direi di sì". In realtà si prende la colpa per non mettere nei guai Gaston e René». «Quello di van Gogh fu un atto di generosità e lo nobilita», ha dichiarato al Times Steven Naifeh. In più il pittore, che non vendeva molti quadri ed era di peso al fratello Theo, non cercava «attivamente la morte», ma quando l'occasione gli si presentò «l'accolse a braccia aperte». «Era risaputo che questi adolescenti andassero a bere qualcosa con van Gogh verso quell'ora del giorno», ha aggiunto Naifeh. «Riassumendo: ci sono un paio di ragazzi con una pistola mezza rotta, uno di questi ama giocare ai cowboy e tutti e tre con ogni probabilità hanno alzato un po' troppo il gomito». Il colpo dunque parte per errore. E poi, fanno notare gli studiosi, van Gogh quel giorno era andato nel campo con pennelli e tavolozza. Nessuna pistola venne mai ritrovata. L'ipotesi è stata definita da Jansen come «intrigante». I due autori hanno lavorato a questo «cold case» raccogliendo indizi e costruendo un'ipotesi che scioglie molti dubbi sul giallo della morte di van Gogh. Certo, ammettono però gli stessi Naifeh e White Smith, come andò di sicuro «non si saprà mai».

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