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Nostalgia del bello Dai frutti di una volta alla stilografica

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Sicchéha fatto vibrare per noi lo scudo di Alessandro Magno oppure ci ha fatto rivivere il sogno infinito di Giacomo Leopardi, la biografia che gli ha appena fruttato il Premio Francesco De Sanctis per la Saggistica. Però adesso non scava nell'animo degli altri, ci spalanca il suo. In un libro tanto singolare quanto rasserenante. Frivolo anche, perché indugia sui vecchi sapori dell'infanzia, sulla fissazione parecchio snob per la penna stilografica, sul rito del presepe. Però raccontando di sé Citati sale su un ideale tappeto volante, che lo porta fulmineo indietro nel tempo, a est e ovest, a nord e sud, dove le civiltà europee divamparono facendoci quello che adesso siamo. E così la lezione che viene da «Elogio del pomodoro» è quella della quieta accettazione del mondo. Non supina, si badi bene. Ma assorta a percepire la bellezza che ci resta e a ripescare quella sparita. Senza mai una parola stridula, senza rancore, Citati ci prende per mano - come i bambini che sono per lui il più bel passatempo - e ci insegna a uscire dai luoghi comuni. Soprattutto dal modernismo conformistico, peggio, coatto. Quello che per esempio ritiene inevitabile la globalizzazione. «Secondo alcuni commentatori moderni, il mondo si sta avviando verso l'unità assoluta...Tutti pescheranno con le stesse canne e le stesse esche. Tutti mangeranno la stessa bottarega...». Già la bottarga. Sarà omologata davvero, per sempre? Citati vuole sperare di no. E osserva che nella realtà degli ultimi decenni c'è stata piuttosto differenziazione. Non va bene se si intende steccato. Ma va bene se ci fa trovare, in qualche angolo del Mediterraneo, il paese unico per quel campanile, per quella casa, per quell'orto. Certo, la scoperta è un miracolo. Appunto come quel pomodoro mangiato in Liguria da bambino. Condito con olio e sale diventava «il cuore del mondo». E «insieme al cattolicesimo costituiva l'essenza della civiltà mediterranea: stemperava gli eccessi ascetici della religione, invocava indulgenza per i nostri peccati...». Di nicchie nelle quali ristorarsi, senza star troppo a guardare metaforiche macchie di umidità, Citati ne trova parecchie nella città dove vive da mezzo secolo, Roma. Folgorazioni capitoline si impongono anche quando è lontano. Il sagrato di una piccola chiesa ligure lo riporta al barocco di Papa Re. Ma è poi l'immersione nella città ad appagare. Ecco la passeggiata a Villa Borghese, alle due di ogni pomeriggio, ecco l'aria nitida e «la mano fiamminga» rimasta nascosta tra certe case dai primi del Seicento. Ecco l'incontro quotidiano con certi personaggi. Come quella signora forse di ottant'anni, coi capelli stopposi e biondi alla Melozzo da Forlì e «le zampe liberty, da fenicottero». Nella Biblioteca di Palazzo Farnese c'è invece un'atmosfera rarefatta. Gli ha saputo regalare fresco anche in agosto, con quelle finestre che «captano inesistenti correnti d'aria» come si aprissero su un colle toscano. Miraggi sa creare la Capitale, presa così com'è. Anche i buchi nell'asfalto di perenni operai. Se guardi bene dentro puoi immaginare una «Roma sotterranea». «Una sterminata, labirintica catacomba».

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