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Venezia: fischiata la Comencini. Un dramma da ridere

A Venezia fischiata la Comencini

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Comencini fischiata. Pochi applausi, tanti buuu e fischi a fine proiezione stampa di «Quando la notte» di Cristina Comencini, in corsa per il Leone d'Oro a Venezia 68. Il secondo film italiano in concorso non è stato ben accolto: nella proiezione stampa molte risate durante le scene più drammatiche, quelle che invece avrebbero dovuto strappare commozione e lacrime, in una storia incentrata sulle difficoltà dell'amore e della maternità con Claudia Pandolfi e Filippo Timi. Il film che punta in alto, tra atmosfere montane, scene in penombra e tanti silenzi, scorre su quella sottile linea dove è molto facile cadere nel ridicolo. Il film girato a Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa, e tratto dall'omonimo romanzo della Comencini pubblicato da Feltrinelli, descrive una madre esasperata dal pianto del suo bambino di due anni, al punto da scaraventarlo per terra con violenza. Inevitabile non fare il parallelo con la vicenda di Cogne. E anche l'happy end, con tanto di sesso tra i due protagonisti avvinghiati in un amplesso, non ha convinto suscitando ilarità fuori luogo. Scritto dalla Comencini con Doriana Leondeff, «Quando la notte», prodotto da Cattleya in collaborazione con Rai Cinema, verrà distribuito da 01 a ottobre. «La reazione alla prima stampa è stata inaudita, Atipica - si difende la Comencini a fianco dei due protagonisti e degli altri attori, peraltro bravissimi, Michela Cescon, Thomas Trabacchi, Denis Fasolo, con i produttori Riccardo Tozzi della Cattleya e Paolo Del Brocco di Rai Cinema - Nessuno vuole sentire parlare di maternità, soprattutto gli uomini, far vedere un seno non come oggetto di seduzione ma di allattamento evidentemente sconcerta. Non sempre nei festival l'emozione è accettata. In questo film ci sono momenti molto emotivi e ci vuole coraggio anche a provare emozioni. É una storia sulla maternità, un'esperienza grande che si impara vivendo e che è bella ma anche dura, limitante della propria libertà, ti può far sentire inadeguata. Ci sono momenti in cui una madre si sente persa e di questo non si parla mai, nei romanzi né al cinema, però sono nell'esperienza comune delle donne, anche di quelle che non hanno avuto figli e l'uomo difficilmente riesce a capire veramente cosa affronta una donna con la maternità». Infine, sullo spettro della madre infanticida Annamaria Franzoni che aleggia nel film, Comencini spiega che «forse nell'inconscio ho pensato a lei ma non ne avevo coscienza». Per Riccardo Tozzi, produttore e marito della Comencini «che al termine della proiezione il pubblico linci un film ci sta tutto e lo capisco, ma che dopo una mezz'ora di proiezione c'é chi destabilizza lo stesso film è una cosa che cambia la percezione di tutti. Non credo a nessun complotto, ma c'é stato un gruppo spontaneo che ha fatto questo tipo di operazione destabilizzante». La butta invece più sull'ironico il protagonista Filippo Timi: «Ammettiamolo, il mio personaggio è per alcuni aspetti comico, è talmente chiuso da risultare a tratti divertente, ma se sono diventato un attore cane tutto di un botto allora comincio ad abbaiare». Maternity Blues. Non tutti i film sulle maternità inadeguate o negate sono stati però contestati. Applausi sono infatti arrivati per «Maternity Blues» (Controcampo) di Fabrizio Cattani, con Andrea Osvart e Marina Pennafina, che dipinge uno sconvolgente ritratto in quattro parti sulle storie di quattro donne che, sotto la pressione della maternità, compiono gesti estremi finendo ricoverate in un ospedale psichiatrico. Ferrara e la fine del mondo. «Quando sai che devi morire e che il mondo finirà, alla fine devi accettare la cosa. Due sono le cose certe nella vita: le tasse e la morte. Delle prime sappiamo che dipendono dal fisco, della morte invece non sappiamo da chi dipende». La pensa così il regista cult Abel Ferrara (reso famoso dal suo «Cattivo tenente») e tornato al Lido in concorso con «4:44 L'ultimo giorno sulla Terra», che alla prima stampa ha avuto molti applausi. Il film racconta una fine del mondo vissuta in un appartamento di New York, dove una coppia (Willem Dafoe e Shanyn Leigh) aspetta la morte tra sesso, chiacchiere su skype, tg, liti e conti da chiudere. Mentre il cielo diventa verde smeraldo e poi è davvero la fine. La coppia si abbraccia su un enorme cerchio dipinto dalla pittrice aspettando quello che deve accadere e accadrà. Black Block. È il titolo volutamente provocatorio, tra testimonianze, filmati e ricostruzioni di quello che è accaduto 10 anni fa al G8 di Genova con la scelta precisa di dare voce solo ai manifestanti, al racconto delle parti offese. «Racconti che sono stati fatti anche durante i processi, ma i media non l'hanno ripresi», sottolinea Carlo A. Bachshmidt, regista del documentario (da domani al Politecnico Fandango di Roma) presentato ieri a Controcampo e prodotto da Domenico Procacci. L'intenso, anche scioccante, filmato sulle violenze durante il G8 di Genova 2001 con il blitz notturno alla scuola Diaz e le torture alla caserma di Bolzaneto, «é nato da un progetto collettivo di chi ha vissuto quei giorni e non ha mai perso il contatto - ha proseguito Bachshmidt - Da lì, l'osmosi con il progetto cinematografico della Fandango, il film sulla Diaz che Daniele Vicari ultimerà proprio oggi.

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