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Quell'estenuante lotta tra l'uomo e la bestia

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diDINA D'ISA In un solo weekend ha sbancato il botteghino americano incassando 54 milioni di dollari. La saga fantascientifica fa ancora una volta centro e «L'alba del pianeta delle scimmie», con James Franco, Freida Pinto e Andy Serkis, prequel del cult di fantascienza «Il pianeta delle scimmie» (1968), ha superato di gran lunga le attese degli analisti. Il film, diretto da Rupert Wyatt, arriverà sugli schermi italiani il 23 settembre e già si annuncia come uno dei titoli di punta della prossima stagione cinematografica. Ambientata ai nostri giorni, la storia racconta di come lo scienziato Will Rodman (interpretato da James Franco) crei in laboratorio un nuovo tipo di scimmia, a cui dà il nome Cesare: sarà proprio lui il protagonista che scatenerà la rivolta contro gli umani. In realtà, lo scienziato stava cercando una cura contro il morbo dell'Alzheimer, ma la sperimentazione fatta sull'animale ha creato invece uno scimpanzé estremamente intelligente. A interpretare Cesare, l'indomabile, è Andy Serkis: i movimenti dell'attore sono stati registrati da un apposito macchinario e sulla sua mimica, in post produzione, è stato realizzato, con l'ausilio della computer grafica, il personaggio della scimmia ribelle. Serkis è ormai un veterano in questo genere di operazioni, avendo già prestato la propria gestualità per animare Gollum ne «Il Signore degli Anelli» e il «King Kong» di Peter Jackson. Si tratta della stessa tecnologia che finora ha trovato in «Avatar» la sua realizzazione migliore. Quello che differenzia questo nuovo film dai precedenti (sia quello originale del 1968 di Schaffner sia il remake del 2001 firmato da Tim Burton) è soprattutto l'uso della tecnologia più sofisticata che anni fa non era ancora realizzabile. Proprio il progresso tecnologico rende plausibile e realistico un futuro dove le scimmie siano, al pari dell'uomo, esseri viventi pensanti e pienamente coscienti. Inoltre, stavolta (a differenza dei film precedenti), non ci sono personaggi travestiti da scimpanzé ma solo scimmie vere, sebbene computerizzate. Al centro, emerge l'eterno scontro tra l'uomo e la bestia che comprende delle tematiche attuali, come il rispetto per le altre creature che insieme a noi abitano un pianeta Terra sempre più fragile e in perenne pericolo. Il film (che rende omaggio all'originale) è una sorta di ammonimento, nel quale la fantasia sconfina con la paura del futuro. E fa riflettere sulle catastrofi che l'ambizione e l'avidità umane possono causare. Quasi un monito a quello che l'Occidente sta attraversando in queste ore: il crollo economico e l'incapacità da parte dei governi più potenti di assumersi precise responsabilità e prendere decisioni condivise. Così, nel film, la scienza si spinge troppo oltre e si erge quasi a divinità, proprio come accade oggi all'economia globale. Fino a che punto il potere umano può spingersi? E dove si incrocia la linea di confine tra ciò che è ritenuto naturale e ciò che inizia invece a sfidare le leggi della natura? Secondo il regista Wyatt «le scimmie non devono essere percepite come un nemico. Tutto deve ruotare intorno al concetto della nascita di una nuova civiltà. Le scimmie sono lo specchio di noi stessi e la mitologia è grandiosa. È una sorta di nostro istinto primario guardarle e pensare "Hanno un'anima? Pensano come noi? E se lo fanno, a cosa penseranno?"».

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