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di MARIO BERNARDI GUARDI «Chi ha ucciso la bella Elvira?».

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Perchéfu proprio in quel di Pisa, nella "selvaggia" Toiano delle Botre, che, nella primavera del 1947, venne assassinata la bella contadina Elvira Orlandini. Nella geografia criminale del nostro paese che da Potenza a Perugia, da Garlasco ad Avetrana, da Brembate a Civitella, vede un bel po' di morte ammazzate e di misteri irrisolti, anche Toiano può, si fa per dire, ben figurare. Nel senso che anche in questo fatto di cronaca gli ingredienti per colpire l'attenzione ci sono tutti: la bella e la "bestia" che l'ha uccisa con efferatezza, l'amore e la gelosia, il sesso e il sentimento, le troppe verità e le troppe menzogne, e soprattutto le chiacchiere, tante chiacchiere, tanti pettegolezzi, tanti e poi tanti articoli di giornale. Al tempo in cui, i mass-media erano loro, i giornali, insieme alla radio, e non c'era lo scialo di incontri, inchieste, dibattiti, domande e risposte in diretta, ipotesi "d'autore"- magistrati, psicologi, criminologi ecc. ecc.- , sceneggiate e quant'altro Mamma Tv ci propone e ci propina, ammiccando alla nostra morbosa curiosità. A riproporre l'interrogativo è il giornalista- Riccardo Cardellicchio, a lungo caposervizio del quotidiano "Il Tirreno"- che si è andato a rivedere tutte le cronache del delitto e del processo. E che prima ha raccontato la storia nel libro "La strega e il vicario" (Sarnus)- dove di storia ce n'è anche un'altra: quella di Gostanza di San Miniato, contadina, levatrice ed esperta di erbe e di medicamenti che, verso la fine del Cinquecento, se la vide brutta con l'Inquisizione perché accusata di stregonerie e "commerci carnali" con Satana, ma alla fine fu assolta- poi, insieme ad Andrea Giuntini, ne ha fatto una "pièce" teatrale. Povera Elvira. Povera donna. Troppo bella per non accendere i sensi degli uomini e sempre troppo bella per non suscitare invidie e risentimenti. Figuriamoci, poi, in un piccolo paese di campagna, per di più arroccato in una zona impervia, negli anni del dopoguerra, quando mancava tutto, e quindi la fantasia si sfrenava fertile, forse a compensare il poco che si poteva mettere sotto i denti. Dunque, nella primavera del 1947, viene ritrovato sotto un albero il corpo di Elvira orrendamente massacrato. I sospetti cadono su Ugo Ancillotti, contadino anche lui e fidanzato di Elvira. Il quale, benché gridi la sua innocenza e offra agli inquirenti qualche possibile strada alternativa da percorrere per arrivare al colpevole, finisce in galera e poi subisce un processo che lo manda assolto per insufficienza di prove. Insomma, siamo nella "regola" o quasi. E allora perché costruirci sopra un'opera teatrale? Perché Cardellicchio- autore anche di un recente "Chi ha rubato la Gioconda? Gialli toscani", sempre edito da Sarnus- pensa che la cronaca- e più che mai la cronaca nera- contenga tutti gli elementi per essere "messa in scena". Nel senso che in essa compaiono "caratteri" che, partendo dal caso specifico, si trasformano in "esemplari", mentre il "privato" di un evento che ha come protagonisti un uomo e una donna - l'assassino e la vittima- diventa "pubblico" per il composito "coro" che lo commenta. E il coro è quello- eterno- della comunità che ti sta intorno e che ha voglia di sentirsi raccontare storie e di commuoversi e di rabbrividire. E, ovviamente, di giudicare. Come nel caso della "bella Elvira". Dove i compaesani dei due innamorati- contrariamente ai giudici che mandano assolto Ugo, per insufficienza di prove- non hanno dubbi: il ragazzo è innocente. Ci credono tanto che riempiono le aule giudiziarie facendo il tifo per lui. Ingiustamente accusato. E perché? Perché è un contadino, perché è un poveraccio, perché non ha santi in paradiso. Perché si vuole risolvere un caso oscuro con un capro espiatorio sicuro. Viva, dunque, Ugo, candido come un giglio? Ma lei, la bella Elvira, era pura come acqua di fonte? Leggendo la ricostruzione che ci offre Cardellicchio, i dubbi restano. E allora chi è stato ad ucciderla? E perché l'ha fatto? Mistero. Aggiungiamo: forse la gente tifava non solo per Ugo, ma proprio per il mistero, per potersi creare una leggenda e tenerla al caldo per decenni.

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