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«Il referendum più folle quello su Pinochet»

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diTIBERIA DE MATTEIS Bonario, allegro, occhi brillanti e sorriso beffardo, Antonio Skármeta renderà indimenticabile l'ottavo appuntamento di «Letterature. Festival Internazionale di Roma», alle 21 di stasera alla Basilica di Massenzio, che condividerà con i cinque finalisti del Premio Strega, con musica di Raffaele Costantino djset e immagini dell'artista Elvio Chiricozzi. Lo scrittore cileno, famoso per «Il postino di Neruda», diventato film con Troisi, leggerà il suo inedito «La lezione di valzer», racconto poetico e surreale sulla fine della dittatura di Pinochet e l'attrice Eugenia Costantini darà voce ad alcuni brani del suo ultimo romanzo «Un padre da film», appena pubblicato da Einaudi. È contento di essere tornato? «Sono venuto un'altra volta nel 2005 e la ricordo come un'esperienza fantastica. Mi dispiace solo di non parlare l'italiano che è la mia lingua preferita. Quando ho ricevuto l'invito a tornare sono rimasto affascinato dal tema di quest'anno "Storia/Storie": è molto stimolante incastrare un racconto in un periodo storico collettivamente condiviso». Cosa ha inventato? «Ho pensato subito al referendum più folle della storia dell'umanità ovvero a quando Pinochet decise di acquistare un volto democratico, dopo quindici anni di atroce repressione, chiedendo alla gente se volesse riconfermarlo per altri quattro anni. La televisione cilena che era stata colonizzata e monopolizzata completamente da lui fino a quel momento poteva mandare in onda per quindici minuti al giorno la campagna dei suoi oppositori. Aveva talmente lavato il cervello alla gente da ritenere impossibile che si votasse contro di lui». È una storia vera? «Assolutamente sì. Per esigenze drammaturgiche ho soltanto concentrato i quindici minuti articolati in tre settimane in un'unica giornata. L'episodio geniale consiste nel fatto che per associare il "no" del referendum all'idea di libertà, un curioso omino spettinato suggerì di cantare sulle note del "Danubio blu" ripetendo la parola "no". Fu il valzer del no, un successo grandioso che restituì alle persone la voglia di votare per risollevarsi l'animo e sperare nel cambiamento. Una vittoria!». Perché ha scelto proprio questa vicenda? «Ritengo che quest'anno ci siano stati ampi movimenti civili che auspicano mutamenti pacifici. La società dormiente e passiva, quando ha l'occasione di dire la propria opinione, può finalmente parlare ed esprimersi. Credo che questo testo sia in sintonia con lo spirito attualmente presente nel mondo». Come e quando si decide di mutare un assetto sociale? «Troppo spesso si pensa che il potere della fantasia non sia sufficiente a trasformare la realtà. Invece quando i poeti e gli artisti captano il sentimento della gente e si uniscono alle persone comuni si può riuscire a costruire una società migliore». È una convinzione che sviluppò anche ne "Il postino di Neruda". Ricorda Massimo Troisi? «Lo adoro: è il mio angelo custode! Quel romanzo non smette mai di regalarmi emozioni, è stato tradotto in venticinque lingue e piace agli insegnanti quanto agli alunni. Di recente l'hanno persino trasformato in un'opera lirica in cui Placido Domingo canta nel ruolo di Neruda. Il debutto è avvenuto a Los Angeles e il 20 giugno sarà in replica a Parigi. Al compositore che mi ha chiesto se volessi intervenire ho detto: "Sentiti libero! L'opera lirica è seria e io non sono una persona seria!". La rappresentazione è stata applaudita per molti minuti di seguito». Prova una forte affinità elettiva verso Neruda? «Volevo scrivere di lui fin dal lontano 1969, quando andai a fargli visita a Isla Negra. Doveva essere un'opera in cui giocasse un ruolo importante non il Neruda famoso, ma l'uomo privato, pieno di delicatezza, umorismo e gradevole ironia, così come l'avevo conosciuto nella sua casa al mare. Ho poi tentato di esprimere soprattutto quella trinità di popolo, lirica e amore che ha alimentato la sua poesia e la sua vita».

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