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Roberta Maresci Viola è la tinta del popolo che protesta in piazza.

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Rossa,la minaccia evocata. Rosa il colore delle quote e della cravatta di Fini. Verde il dissenso degli ambientalisti. Nero l'irruzione dei black block. Arancione, la nuance della libertà, declinata come patto di una «giunta di liberazione dai partiti» offerta ai napoletani da Luigi De Magistris, o come il «maggio milanese» della rivoluzione pacifica contro il ventennio berlusconiano celebrato da Giuliano Pisapia. Ma qual è il primo colore che ricordiamo? Risponde in prima persona alla domanda Michel Pastoureau, ne «I colori dei nostri ricordi» (Ponte alle Grazie, pag. 240). Raccontandosi. Attraverso il senso cromatico della sua vita. Passando dalla prima bicicletta a un'odiata giacca di un brutto blu, dalla divisa della squadra di calcio del liceo agli «scandalosi» pantaloni rossi di due compagne di scuola. Tutto comincia dal giallo, che Pastoureau associa ad Andrè Breton e, con a lui, all'intero movimento surrealista. Ne risulta un diario cromatico basato su ricordi personali, ma anche su rilevazioni estemporanee e digressioni erudite.

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