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Nicola Bultrini È un libro di vita, intenso e struggente, l'ultima raccolta di versi di Gian Mario Villalta, «Vanità della mente» (Mondadori, 2011).

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Conun non comune vitalismo tematico, l'esperienza è recuperata attraverso gli indizi di un vissuto reale, "restavano tracce di realtà / anche dove non si vedeva niente di riconoscibile". Il paesaggio allora, e gli affetti più intimi, il dolore degli accidenti umani, "non resta da guarire che la sostanza / degli elementi primi / dall'aridità, dal furore dei miei sogni". Una poesia asciutta, coerente, che appartiene alla concretezza delle cose. C'è una saggezza minima e privata nei versi, su cui è costruita una lingua onesta, mai sopra le righe pur quando affronta l'intensa febbrile inquietudine del vivere, "un dolore che passa / dentro un dolore diverso". E quindi, "così le parole di chi si innamora / formano un nuovo colore / sul parlare comune". Quello di Villalta è un libro di grazia, in cui l'uomo moderno ferito non rinuncia alla vitalità, "far versi: come ogni antico / animale che sta sulla terra / per l'amore, la morte, la guerra".

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