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Palma d'Oro a Malick Italiani a bocca asciutta

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Kirsten Dunst, Palma d'Oro a Cannes come miglior attrice per

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Trionfa «The Tree of life» di Terrence Malick, Palma d'oro al 64° Festival di Cannes, regista 67enne così schivo da non essere neanche al Festival: il suo premio è stato infatti consegnato a Bill Pohlad, uno dei produttori del film. Nonostante le previsioni ottimistiche, tornano invece a mani vuote i registi italiani, Nanni Moretti (con «Habemus Papam») e Paolo Sorrentino (con «This must be the place»). Anche se il ministro Galan in una nota ricorda la Palma d'oro alla carriera a Benardo Bertolucci. Il premio per il migliore attore è andato a Jean Dujardin, protagonista del film muto in bianco e nero «The Artist» di Michel Hazanavicius e migliore attrice è Kirsten Dunst per «Melancholia» diretto dal criticato regista danese Lars Von Trier che, proprio qualche giorno fa a Cannes, si era lasciato scappare frasi scioccanti su Hitler e Israele. «Polisse» della regista francese Maiwenn Le Besco conquista invece il premio della Giuria e Nicolas Winding Refn con «Drive» è il migliore regista di questa edizione. Il Gran Prix è andato pari merito a due film: a «Gamin au velo» dei fratelli Dardenne e a «Once upon a time in Anatolia» del turco Nuri Bilge Ceylan. Si chiude così uno dei più memorabili Festival di Cannes, sia per l'alta qualità dei film sia per le sorprendenti polemiche (alcune infelici come nel caso Von Trier) e sia per le inusuali tematiche. Oltre alle storie su genitori e figli (spesso disadattati o violenti), come nel caso de «Il ragazzo con la bicicletta» dei fratelli Dardenne o di «We need to talk about Kevin» di Lynne Ramsay, questa edizione è stata vinta da storie sulla fine del mondo. È il caso di «The Tree of life» di Terrence Malick, un film che è una continua preghiera a un Dio nascosto, con un grande impatto visivo sulla nascita del mondo, il big bang, le origini della vita e una fine apocalittica in una sorta di limbo post mortem ambientato sul bagnasciuga di una grande spiaggia. Lì, le madri incontrano i propri figli, e viceversa, e tutti i morti sembrano ritrovarsi in pace. Malick riesce a non lasciare tutto questo sulle pagine della Genesi o in un libro di filosofia. Per creare le primordiali immagini del Big Bang, il regista americano ha consultato astronomi, fisici e biologi e, per la prima volta nella sua carriera, ha utilizzato effetti visivi, rielaborando il caos con la sua sensibilità estetica. Vulcani che eruttano lava, foreste pluviali, immense distese d'acqua e persino i dinosauri che circolano dalle parti di quello stesso fiume che poi farà da sfondo a tante scene della microstoria della famiglia O'Brien negli anni '50. Brad Pitt interpreta un padre vecchia maniera, come l'epoca in cui è ambientato, il suo amore per i figli è poco manifesto rispetto alla volontà di dare un'educazione rigida, una formazione alla vita che è combattimento. Centrale nel film è la morte di uno dei tre figli. Tutto è raccontato attraverso gli occhi di Jack, figlio non troppo amato da Pitt, da adulto interpretato poi da un silenzioso Sean Penn. Quinto lungometraggio del regista-filosofo (Malick, tra l'altro, ha tradotto in America Heidegger), «The tree of life» vola subito alto: si parte con la citazione di un passo di Giobbe (il 38.47) e tutto è accompagnato da musiche classiche di Brahms a Bach. Malick, tre volte sposato e che è stato, tra le altre attività, operaio ai pozzi di petrolio, professore di filosofia al MIT, giornalista, ornitologo, non ha avuto una vita familiare facile: un padre severo da cui non si è sentito mai amato e un fratello che amava suonare la chitarra che si è suicidato. Anche Kirsten Dunst è protagonista in «Melancholia» di atmosfere da fine del mondo, proprio come quelle evocate da Malick. Ma stavolta l'Apocalisse, dovuta alla collisione tra la Terra e un pianeta, è senza speranza: non ci sono città sconvolte da onde anomale o terrificanti terremoti, ma la fine del mondo è personale, intima, vissuta in un castello da due sorelle (Gainsbourg e Dunst) molto diverse tra loro. Se erano già in odore di palmares i Dardenne (con la loro commovente storia d'amore tra un ragazzo senza famiglia e una parrucchiera che lo prende in affidamento), lo straordinario attore Dujardin del film muto «The Artist» e il turco Ceylan per la sua curiosa storia notturna persa tra le montagne dell'Anatolia, a sorpresa ha vinto il regista danese Refn per «Drive». Un piccolo gioiello di cinematografia tratto da un romanzo di James Sallis, noir pieno di ritmo e musica che rievoca i cult di Tarantino, interpretato da Ryan Gosling, attore e musicista canadese che ha fondato il duo musicale indie rock dei Dead Man's Bones.

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