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Il monte romano del beato Wojtyla

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diLIDIA LOMBARDI A Napoli chiamano «ottavata 'e Pasqa» la domenica in Albis. E ripetono, nell'ottavo giorno dalla Resurrezione, le preghiere e l'abbuffata di pastiera. Domani è domenica, potremmo chiamarla «l'ottavata del beato Wojtyla». E allora, a rinnovare in versione fori porta il tripudio del primo maggio in piazza San Pietro, andiamo nella montagna romana più cara al montanaro «Lolek». Un posto vicinissimo alla Capitale, 50 chilometri, un'oretta di macchina. Strada tortuosa, ma un belvedere ineguagliabile. Una sequenza di boschi e di praterie. Un santuario nascosto tra gli alberi e i rovi. I nomi di riferimento sono monte Guadagnolo, il paese di Capranica Prenestina. E il convento della Mentorella, legato a doppio filo alla Pasqua così come al «papa venuto di lontano». Prima dei monaci Subiaco, poi dei gesuiti, poi ancora dei Benedettini locali, dalla metà dell'Ottocento fu assegnato da Pio IX ai frati Resurrezionisti Polacchi. Forse lo costruì Costantino, quello di in hoc signo vinces . Certo è che lo fondò papa Silvestro I, dedicandolo alla Beata Vergine. Già, la Vergine, davanti alla quale Wojtyla si prostrava col motto totus tuus. Ecco il legame della Mentorella con il nuovo Beato. Veniva qui prima di essere fatto Papa. E ci tornò subito dopo, nella prima uscita con la veste bianca. Era il 29 ottobre 1978. Lo aspettavano lassù ventimila persone, tanti ragazzi, tanti scout. «Ho desiderato di venire qui, tra queste montagne, per cantare dietro le orme di Maria il Magnificat», disse Giovanni Paolo II riferendosi al Vangelo di San Luca. Là dove la Vergina dopo l'Annunciazione sale sui monti, in cerca di Elisabetta, e pronuncia il cantico «L'anima mia magnificat il Signore». Queste parti allargano il cuore. Monte Guadagnolo, altezza sul mare di 1219 metri, frazione di Capranica, è una cresta frastagliata. Un lungo fronte di rocce calcaree sul quale si appollaiano poche case. Il panorama è a 360 gradi. Dalla «terrazza» col monumento a Gesù Redentore pare di toccare il formicaio dei palazzi di Roma. A est i monti Simbruini, a sud la vetta del Cricelli e le terre etrusche. A nord Tivoli e il monte Gennaro. I colli Albani, le alture degli Ernici e dei Lepini. Di fronte - con l'aria limpida che fa da cannocchiale - il mare. E laggiù laggiù la sagoma del Circeo. Capranica Prenestina, il municipio, è più in basso, a quota 915 metri. Tutto è piccolo e antico. Casette medievali, il «Cupolino» della chiesa della Maddalena, che vanta la mano della scuola bramantesca. Unico scatto di imponenza cinquecentesca è il palazzo Capranica, poi intitolato ai Barberini. Ma l'abitato finisce presto, l'ultima chiesa - la Madonna delle Grazie - ha forma a capanna e scale rustiche. Perfetta per il passaggio dall'abitato alla campagna. Ecco l'avanzata della natura, i pascoli saccheggiati dalle pecore. I boschi di castagni, con le radici buone per i funghi, dai porcini alle bianche vesce. I lecci, le rare querce, i cespugli di rose canine, i corbezzoli. Tanto rustiche, queste parti, e tanto gravide di storia. Mentorella potrebbe derivare dal generale goto Wult (volgarizzato in Wultwilla e Vulturella) che qui si ritirò dopo essersi convertito a Montecassino. E a studiare biologia e storia del luogo fu Athanasius Kircher, il gesuita-filosofo tedesco che nella metà del Seicento, scelto da papa Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, insegnò al Collegio Romano. Padre Atanasio scrisse una storia del Santuario della Mentorella, il più antico in Italia tra quelli dedicati alla Madonna. La statua della Madre di Dio sistemata nel ciborio della piccola chiesa è di legno, opera di maestri romani del dodicesimo secolo. Maria, più piccola del naturale, è in cattedra e tiene su un ginocchio il Bambino, che teneramente l'abbraccia. Il beato Wojtyla, guardandola, si sentiva già beato.

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