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Il primo Papa in una moschea

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diRODOLFO LORENZONI Il primo Papa ad entrare in una sinagoga, il primo in una moschea. Giovanni Paolo II dà inizio alla traversata della sua Chiesa lungo il ventunesimo secolo cristiano rendendosi protagonista dell'ennesimo atto storico, che peraltro corrisponde pienamente all'impostazione di tutto il suo pontificato. Il tema dell'ecumenismo, soprattutto nella forma del dialogo tra le tre religioni monoteiste, anima assiduamente il pensiero e l'opera di Wojtyla, e si concretizza in gesti semplici, immediati, sorprendenti. Come quello di andare a Damasco nel maggio del 2001 e di fare il suo ingresso nella moschea di Omayyadi, in cui si trova la presunta tomba di Giovanni Battista, preservata dai musulmani quando tramutarono la cattedrale in moschea. La presenza del memoriale del Battista facilita certamente le cose, ma - come sempre - è la straordinaria personalità del grande Papa a trasformare in reale tutto il possibile. Wojtyla è scalzo, si appoggia a una colonna e sul suo bastone e sprofonda nel silenzio e nella preghiera per lunghi minuti. Poi esce assieme al Gran Muftì Sheikh Ahmad Kuftaro e si siede accanto a lui. Lo guarda, muove il capo come per dirgli: "Visto? Ce la abbiamo fatta!", e poi scolpisce: "Per tutte le volte che i cristiani e i musulmani si sono offesi reciprocamente, dobbiamo cercare il perdono dell'Onnipotente: non si dovrebbe permettere a esperienze negative di minare la speranza della pace". Ma nel giro di pochi mesi la pace a cui allude Giovanni Paolo II subisce la minaccia più devastante, l'attentato alle Torri gemelle di New York dell'11 settembre. Proprio nel momento in cui il Papa polacco sta compiendo i passi più arditi sulla strada del dialogo interreligioso con i fedeli musulmani, l'Occidente viene attaccato con inaudita violenza da un nemico che percepisce di generica matrice islamica. Da qui l'impresa più complessa e sentita, la maggiore dell'ultima parte del pontificato wojtyliano: l'insistente ricerca di un dialogo in grado di suscitare non solo sviluppi interconfessionali, ma anche la vera speranza di una pace planetaria. Nell'udienza del giorno successivo all'attentato, il Papa si rivolge ai potenti del globo e chiede ai fedeli di non applaudire per nessun motivo e in nessun momento del suo discorso. "Per i responsabili delle Nazioni - supplica Giovanni Paolo - perché non si lascino dominare dall'odio e dallo spirito di ritorsione, perché facciano di tutto per evitare che le armi di distruzione seminino nuovo odio e nuova morte, e perché si sforzino di illuminare il buio delle vicende umane con opere di pace". "Non c'è pace senza giustizia e non c'è pace senza perdono", si intitola d'altra parte lo scritto che Wojtyla pubblica nel dicembre 2001. Il messaggio è chiaro: difendersi dal terrorismo è legittimo, ma è assurdo convertire il diritto di difesa in una mera ritorsione contro i popoli cui appartengono i terroristi. Se si interviene per preservare la pace, argomenta il Papa, non si può farlo scatenando una guerra, per poi finire invischiati nella trappola dei rancori e delle distorsioni. Nei due anni successivi, la predicazione pontificale verte quasi completamente sulla questione della pace, tanto da giungere alla Giornata di preghiera e di digiuno del 5 marzo 2003, nel mercoledì delle Ceneri. E in questo quadro vanno anche inseriti i viaggi in Azerbaijan - Paese a maggioranza musulmana - e in Bulgaria, quinto Paese a prevalenza ortodossa raggiunto dal pellegrino dell'Assoluto. Per avversare la "guerra preventiva" sferrata contro l'Iraq interviene decine e decine di volte. "Io appartengo alla generazione che ha vissuto e che ricorda bene la seconda guerra mondiale, e per questo ho anche il dovere di ricordare la storia a tutti questi giovani, e di dire a tutti questi giovani, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite: mai più la guerra!". I potenti del pianeta (che Giovanni Paolo incontra uno ad uno in questi mesi) non vogliono o non possono accogliere la sua invocazione ma, come sempre è accaduto per tante altre materie del magistero wojtyliano, il cuore del popolo di Dio afferra istintivamente il suo messaggio di fratellanza. 9-continua

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