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di PAOLO ZAPPITELLI Ci sono capitoli della nostra storia che vanno ancora scritti.

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Unodi questi spezzoni riguarda lo sbarco delle truppe americane il 10 luglio del 1943 sulla spiaggia di Gela operazione che gli storici hanno sempre guardato dalla parte delle truppe alleate, celebrando l'eroismo e il sacrificio di quei soldati venuti da lontano. C'è però qualcuno che, con puntiglio e serietà, è andato ad esplorare il terreno ancora sconosciuto che riguarda i tanti morti italiani di quello sbarco. Volti dimenticati, spariti nel nulla dei racconti ufficiali. Ma che riemergendo da quelle nebbie hanno testimoniato di scempi, atrocità e inutili rappresaglie delle truppe americane. Fabrizio Carloni ha raccontato tutto questo in «Gela 1943, le verità nascoste dello sbarco americano in Sicilia» (Mursia editore, 148 pagine, 15 euro), scovando, tra i tanti fatti mai raccontati, anche la fucilazione di una quindicina di carabinieri i quali, dopo aver difeso una postazione, si erano arresi ai soldati americani. «I risultati che qui si enucleano sono di due tipi – scrive Francesco Perfetti che ha curato la prefazione del libro – Vi sono, in primo luogo, delle importanti novità o, se si preferisce, delle vere e proprie rivelazioni, come la documentazione di inutili e incomprensibili stragi di civili e militari inermi ad opera dei militari nordamericani. Vi sono, poi, altri risultati, non meno rilevanti, che correggono errori o inesattezze tramandate acriticamente dalla vastissima letteratura sull'argomento». In queste pagine, dove qua e là si tratteggia anche il paesaggio di un angolo di Sicilia non ancora deturpato dalla selvaggia speculazione industriale, si racconta del sacrificio di un nucleo di finanzieri che fu la prima linea schierata sulla spiaggia contro lo sbarco degli americani, della rappresaglia dei paracadutisti dell'82° divisione statunitense che il pomeriggio del 13 luglio massacrarono cinque civili tra cui un ragazzo, e della strage di un gruppo di persone le quali, in fuga, furono fucilate senza alcuna spiegazione. «Quasi tutti rimasero sconosciuti – scrive Fabrizio Carloni – con l'eccezione del podestà di Acate e del figliolo, sorpresi con la rispettiva moglie e madre...al centro del paese lo stesso giorno dello sbarco. Erano in macchina per raggiungere un'area meno coinvolta nei combattimenti quando furono intercettati da un gruppo di soldati americani a cui il podestà, Giuseppe Mangano, si rivolse dichiarando la sua identità e invocando la convenzione di Ginevra perché venissero riconosciute a lui e ai profughi le guarentigie previste dalle leggi di guerra. Dopo una breve verifica gli americani lo trassero dal gruppo, e dopo aver fatto ritirare con modi sbrigativi le donne in una casa, lo trascinarono verso la periferia della cittadina, dove alle 19 circa lui e il fratello vennero fucilati con altri civili e militari rimasti sconosciuti. Il figlio di Mangano, di 17 anni, tenuto fuori dal gruppo dei morituri, vedendo la sorte riservata al padre e allo zio Ernesto impugnò una pietra e si gettò verso i fucilatori, ma fu fermato da una baionettata che gli recise quasi la testa». Racconti, testimonianze, che anticipano, in maniera inquietante, altri racconti di violazioni di cui si sono macchiate le truppe americane in altri conflitti negli anni a venire. «Questo libro – commenta il sottosegretario Andrea Augello, autore anche lui di un volume che fa luce sulla storia mai narrata di quella operazione, «Uccidi gli italiani» – apre uno scenario completamente nuovo sullo sbarco in Sicilia. E a questo punto credo che la procura militare di Napoli dovrà aprire un'inchiesta per strage. Perché qui ci troviamo di fronte a veri e propri crimini di guerra».

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