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Lezioni d'amore del professor Vecchioni

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Bastacon il giovanismo imperante: la più importante rassegna canora italiana conclude la sua fase di subordinazione e di transizione, invertendo il percorso verso una propria autonomia propositiva. Anzi, addirittura volgendo il timone verso un'autorevolezza cantautorale che a Sanremo era sempre stata vista come marginale, eccentrica, o da punire con l'ultimo posto in classifica. Vecchioni invece ha vinto, e chissà se il fatto in sé non stimoli le case discografiche a mostrare un po' più di coraggio, per tornare a investire sulla canzone di livello: e se proprio non si vuole tuffare le mani nelle mani pescosissime delle nuove leve cantautorali, c'è comunque la possibilità di credere ancora nei grandi nomi, quelli che sono già lì e basta spingerli in studio, senza mortificarli a suon di compilation rievocative, come se fossero delle salme artistiche inaridite, buone per lucrare sulla nostalgia e sull'inclinazione antologica dell'ascoltatore. Vecchioni, allora. Che qui, nell'album pubblicato sulla scia del festival, rimane a metà del guado. Nel senso che questo non è un album di soli inediti: l'ultimo in questo senso fu "Di rabbia e di stelle", di quattro anni fa, seguito nel 2009 dall'ardito esperimento di "In cantus", dove (con gli arrangiamenti di Beppe D'Onghia), il Professore si cimentava in alcune composizioni classiche alle quali aveva aggiunto dei testi. E in questo cd ritroviamo appunto "Il nostro amore", in duetto con Dolcenera, riadattato dalla "Patetica" di Tchaikovsky, in mezzo a tante altre cose già note, una specie di summa sentimentale vecchioniana che corre lungo l'arco di tutta la sua fortunata carriera, da "Canzoni e cicogne" a "L'amore mio", passando per "Mi manchi" o "Dentro gli occhi", eseguita in coppia con Ornella Vanoni. Il senso di questa operazione è infatti di rinforzare l'onda calda e positiva generata da "Chiamami ancora amore", canzone che può essere letta in molti modi, da quella della privatissima attrazione tra due anime, a quella del riscatto sociale e della riconquista di valori condivisi in un Paese governato evidentemente dai "signori del dolore". Interpretazione, questa, che non è stata affatto secondaria per la vittoria sanremese, ma che rischia di sminuirne la poetica, stravolgendola nell'ennesimo inno pop neopartigiano. Ma attenzione: perchè gli altri due splendidi inediti di questo album, "Mi porterò" e "La casa delle farfalle" affrontano con toni delicati ed elegiaci il tema scomodo della fine della vita. E il 68enne Vecchioni brucia il cuore quando canta versi come "Mi porterò quando aspettavo il tuo sorriso come un dono/ e far l'amore era un perdono/ mi porterò quando eran piccoli i ragazzi e noi eravamo/ giovani e belli come siamo", ispirati dalla moglie scrittrice Daria Colombo, la sua musa di un'unione trentennale, la stessa donna alla quale l'artista aveva dedicato il suo pensiero mentre trepidava sul palco dell'Ariston. In questa collezione di palpiti Roberto ha voluto includere anche due struggenti capolavori altrui, il "Lontano lontano" di Tenco e l'"Hotel Supramonte" di De André, a modo loro due ritratti immortali delle traversie sentimentali: un uomo che già rimpiange ciò che sta per perdere, un altro che resta legato (letteralmente) alla sua donna nella circostanza più drammatica della vita. Non è del tutto nuovo, questo disco di Vecchioni. Ma ancora una volta, è una lezione. D'amore. Voto 4/5

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