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Bondi fa ciak, la protesta fa flop

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diANTONIO ANGELI Il fronte della battaglia pro-fondi pubblici allo spettacolo e anti-ministro Bondi appare dissolto, sfumato, sparito. Dopo la sconfitta, l'altro giorno, degli «sfiduciatori» in Parlamento ieri i lavoratori dello spettacolo si sono dati appuntamento in via del Collegio Romano, davanti al Ministero. Lo scopo era tornare a chiedere le dimissioni di un ministro «incapace di difendere le già magre risorse che lo Stato investiva per la produzione, la promozione e la conservazione della cultura italiana»: queste le parole in una lettera che i manifestanti hanno indirizzato a Bondi. All'appuntamento sono arrivati quattro gatti: decisi, motivati e molto rumorosi, coordinati con la Cgil, ma nulla a che vedere con l'ondata di star che inondò lo scorso ottobre il Festival Internazionale del Film di Roma. I manifestanti, che hanno simbolicamente bloccato l'ingresso al dicastero, agitavano delle uova con sopra scritto: «cinema», «danza», «musica», «fus», che simboleggiavano lo stato di fragilità del settore. Ma la manifestazione, come l'operazione «sfiducia a Bondi», non è riuscita, le uova si sono rotte nel paniere. Ma cosa è accaduto, cosa è cambiato in pochi mesi? Perché la battaglia anti-Bondi, che aveva raccolto tante adesioni soprattutto tra produttori, registi, attori, oltre che tra tantissimi lavoratori dello spettacolo (e ricordiamo che gli italiani sono di gran lunga i migliori del mondo), non ha più un esercito? Perché non è sceso in piazza l'olimpo del nostro cinema? La risposta è semplice. Perché Sandro Bondi ha promesso di dare ai lavoratori dello spettacolo quello di cui hanno bisogno e, qualche settimana fa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ha detto che la promessa sarà mantenuta. E tanto è bastato. La promessa, contenuta nel cosiddetto «decreto Milleproroghe» che sarà approvato a giorni, prevede forti sgravi fiscali per tutto il settore con il tax credit e il tax shelter. Certo, tutto è perfezionabile e chi manifesta ha ragione a chiedere aggiustamenti. Le esenzioni fiscali potrebbero essere «pilotate» fuori dal cinema anche verso altri comparti dello spettacolo. Inoltre queste agevolazioni sarebbe bene fossero strutturali per un certo numero di anni, in modo da consolidare la ripresa. Una ripresa, nel settore del cinema, che c'è e fa ben sperare, come dimostrano i 40 milioni si euro incassati in poche settimane da Checco Zalone. Insomma, tutto è migliorabile, ma una cosa appare certa: che l'epoca dei soldi pubblici dati a pioggia, concessi con criteri di simpatia politica (sempre a sinistra), senza nemmeno badare che i film arrivassero nelle sale è finita. E se ne rendono conto (quasi) tutti. La strada intrapresa in questi ultimi anni, cioè di offrire sgravi fiscali invece di finanziamenti indiscriminati, ha convinto i professionisti del settore. E se la ripresa sarà ben coltivata convincerà anche gli irriducibili della Cgil.

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