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di LIDIA LOMBARDI Un chilo costa in media non più di tre euro.

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Popolare,plebea cozza. Dall'aspetto «rustico», con «barba» e frammenti marini attaccati al guscio nero (chissà se è per questo che la donna brutta è apostrofata appunto con un «Ah cozzaaa»). E soprattutto protagonista spesso di campagne denigratorie, per via del suo «succhiare» i microrganismi che stanno in mare e dunque essere portatrici di batteri. Ricordiamo tutti l'apocalisse del colera a Napoli, veicolato dai frutti di mare. Una settimana fa un altro allarme. Stavolta nato da una falsa e dannosissima notizia. A Taranto, la città che vanta la massima produzione di cozze di allevamento al mondo, un'indagine di marca «ambientalista» ha preteso di scovare «cozze alla diossina». Un Sos amplificato da uno sbrigativo servizio del Tg3. La conseguenza, l'annullamento di ordinativi da tutta Italia. Una batosta per l'economia della città. Soprattutto una «bufala». Le cozze analizzate sono state prelevate dai fondali di una zona interdetta a pesca e balneazione. Quelle commercializzate vengono invece allevate nel Mar Piccolo, in «filari» controllatissimi. I mitilicoltori, sostenuti dai dati della Regione Puglia, pensano ad azioni legali per il risarcimento del danno subito. Che è grosso. Proprio a Taranto si alleva la cozza più prelibata, non troppo grande, ma tenera e dolce, perché l'acqua marina si mischia all'acqua dolce che sgorga da numerose polle. E fu a Taranto che duecento anni fa, quando c'era Napoleone, si inventò il modo più pratico e produttivo di allevare le cozze. Non nel fondo marino, ma con pali infissi nell'acqua ai quali si attaccano le reti, di rigore in canapa, stese orizzontalmente. Così le cozze vivono in sospensione e a pelo d'acqua, habitat ideale perché prediligono la luce. Le larvette (veliger) delle cozze, che nascono da fecondazione nell'acqua di sperma e uova in un arco di tempo che va da novembre ad aprile, sono esportate negli altri importanti allevamenti italiani (in Veneto, in Sicilia, in Sardegna, in Campania). Si attaccano volentieri alla fune vegetale - ricca di trefoli e coperta da microalghe - e in 18 mesi arrivano ai cinque centimetri considerati buoni per la raccolta e la vendita. E qui veniamo al punto dolente. Non è consigliabile mangiare le cozze crude e la spruzzata di limone, quella che generosamente offrono gli ambulanti sui moli delle nostre città marinare, non basta a uccidere i batteri. Dunque la cottura libera da pericoli i manicaretti a base di cozze, che hanno questi valori nutrizionali: 100 grammi di mytilus galloprovincialis (così il nome scientifico) privato di guscio fornisce 86 calorie, 2,24 % di grassi, 3,96 di carboidrati, 11,9 di proteine. Poi ci sono gli ingredienti usati per cucinare le cozze. Un'infinta varietà di piatti, che le hanno «sposate» perfino alla polenta.

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