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di LIDIA LOMBARDI Sora Menica s'alzava alle quattro, il giorno della Vigilia.

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Uscivaalle cinque, l'ultimo pezzo di lungotevere - con l'Isola Tiberina che quasi affondava sotto er Teverone ingrossato dalla pioggia - se lo faceva col fiato grosso, se non era riuscita a montare su una carrozza a cavalli, ché le machine mica ce n'erano tante, allora. Beh, lì, nel regno dei giudii, «ce doveva annà per forza». A comprare il capitone, sennò perché? Era quello più buono, sbarcato dai fiumaroli. Sceglieva il più lungo, je guizzava nella sporta, al ritorno. In cucina, il coltello era peggio di una scimitarra. E je facevano effetto i pezzi del pescione, che saltavano pure quando stavano in padella, fregandosene dell'olio bollente. Per fortuna che non c'aveva attono i regazzini. Stavano tutti all'Ara Coeli, a fare i sermoni. Sì, nella chiesa del Bambinello coperto d'oro - quello che adesso non c'è più, perché l'hanno rubato i blasfemi nel 1994 - i frati li mettevano tutti in fila e gli facevano fare la predica, o recitare una poesia. Per loro, abituati a sentirsi dire dalla madre «a ni', statte zitto» seguito regolarmente da scappellotto, era 'na soddisfazione poter parlare davanti a preti e parenti, e tutti a sentire senza che volasse una mosca. I giri dei presepi li facevano prima del tramonto. Santa Maria Maggiore, con il marmo di Arnolfo di Cambio, prima di tutti. Quella è la basilica della Madonna miracolosa, che ha fatto nevicare a Ferragosto, figurati se 'na preghierina e un obbolo nun ce fanno bbene. Zio Franco, l'unico che in famiglia faceva il saputo, raccontava che nell'antica Roma, quella del primo impero, il Natale non esisteva mica. Intanto perché nessun evangelista ha rivelato il giorno della nascità di Gesù. Al massimo, c'è qualche indizio. Si pascolavano all'aperto, di notte, le greggi. Dunque il Salvatore è venuto al mondo in primavera, tutt'al più a marzo. Però verso il terzo secolo i primi cristiani, abbagliati dal richiamo delle feste pagane dei Saturnalia e del Sol Invictus, sistemate attorno 25 dicembre, decisero che era quello il giorno buono per far nascere Cristo. «Nella Depositio Martyrum del 336 - e zio gonfiava la gote, fiero di cotanta cultura - c'è scritto che "durante il consolato di Cesare Augusto, nostro Signore Gesù Cristo nacque otto giorni prima delle calende di gennaio, un venerdì, il quattordicesimo giorno della luna". E, fatta la lezioncina, intonava in falsetto «Astro del ciel...». Di fuori, dalla finestra aperta la mattina presto, gli arrivava pure l'accompagnamento musicale. Li zampognari, venuti dall'Abruzzo e diventati mezzo romani, perché restavano nella Capitale un mese intero, a fare la questua. Il mantello di pecora li teneva belli caldi. E a qualcuno sora Menica ricordava, prima che se ne andasse su pe li monti, di portarle, l'anno dopo, un abbacchietto e un pollo ruspante. Almeno la spesa era avviata. Perché poi lei, il giorno della Vigilia, nun sapeva a chi da' i resti. Cena di magro, vabbè. Però, dopo l'anguilla, ci voleva il fritto: broccoli, patate, mele, carciofi, tuffati nella pastella. E doppo? Le linguine col sugo denso di tonno, il tortino d'alici alla giudia e il pangiallo con le noci e le nocchie che aveva preparato la settimana prima. Come i cappelletti per il 25, annegati nel brodo di gallina. Le costolette d'abbacchio, quelle no, andavano fatte lì per lì. Per contorno le puntarelle, tutte riccioli verde tenero, appena abbrunite dalla salsetta di aceto e d'acciughe sfracellate per mezz'ora col pestello di legno. Sora Menica, che Ddio ve benedica!

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