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Furbi e fannulloni Sempre più rampanti È l'Italia 2010

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Cene aggiungevano anche una terza, di «effe»: quella tragica di fame, «a' livella» anticamera della morte. Oggi che l'Italia è unita da 150 anni, imperano ancora tre effe. Quelle di fannulloni e di furbi, per cominciare. E la terza, in un paese che finisce sempre più nei lettoni, potete immaginarla. Ma andiamo sull'indagine sociologica, che sviscera gli italiani del 2010. Popolo di santi, navigatori, poeti manco per niente. Invece di fannulloni, e non nell'accezione di Brunetta, che gli ha dato battaglia senza però vincere ancora la guerra. Quelli che battono la fiacca al lavoro sono soprattutto i dipendenti pubblici, secondo uno studio di David Perluigi che si sottotitola «Il paese dei furbi: tutti i privilegi dei dipendenti pubblici a spese dei contribuenti» (Newton Compton Editori). Il viaggio di Perluigi è desolante e sarcastico insieme. Ci fa infuriare e sghignazzare. Tanto è spudorato chi prospera a spese dello Stato (e di tutti noi) che diventa una macchietta. Nella casta della pubblica amministrazione, per esempio, c'è un agente della polizia provinciale di Latina, tale Carlo P., che in sei anni è stato assente per malattia 400 giorni. Il bello è che infortuni, febbri, colpi alla nuca o delle strega il pover'uomo li accusa sempre mentre è in ferie a Cuba. Così invia per fax certificato medico. E per snidarlo si è pensato di coinvolgere la nostra ambasciata ai Caraibi, visto che i protocolli usuali non prevedono visite mediche fiscali oltreoceano. Già, le ambasciate, i diplomatici, il ministero degli Affari Esteri. È un altro buco nero perfetto per i fannulloni che vogliono inguattarsi. La metafisica sede, il bianco parallelepipedo alla Farnesina, con gli infiniti corridoi, anfratti, sotterranei è un labirinto meraviglioso. Racconta Arcangelo Martello, funzionario Mae (sta per Ministero Affari Esteri) prossimo alla pensione e dunque ormai gola profonda: «Mi continuo a chiedere perché mi diano ogni anno duemila euro in più come premio di produzione per un lavoro, il mio, che si quantifica in un quarto d'ora al massimo al giorno». E continua, riferendo di spazi inimmaginabili nei quali rifugiarsi per sfuggire al lavoro. «Sapete che cosa sono i grottoni? I sotterranei della Farnesina che si estendono per centinaia e centinaia di metri». E dove si sussurra ci sia addirittura una galleria che conduce fino a Ponte Milvio. Il lavoro fuori sede è un'altra pacchia. Gli istituti di cultura all'estero, nati quarant'anni fa per l'istruzione dei nostri immigrati, sono un esempio. Esistono 209 scuole per 31 mila alunni. E gli insegnanti miracolati dall'assegnazione della cattedra a fine mese si trovano un doppio stipendio: del ministero della Pubblica Istruzione e di quello retto da Frattini. Altri privilegiati sono i travet di uno dei tanti enti inutili che dovrebbero essere cancellati e invece resistono. È l'Eim, l'Ente italiano della Montagna. Sempre in viaggio gli impiegati, e oltretutto a respirare aria buona. Come del resto gli altri «unti del Signore», i Forestali. Al perfetto assenteista è stato perfino dedicato un manuale («Come evitare il lavoro senza rinunciare allo stipendio») compilato da un «solerte» dipendente della regione autonoma del Trentino. Un editore glielo ha pubblicato, in forma rigorosamente anonima. Il Nostro, che s'è scelto per fidanzata una collega, conosciuta nelle interminabili pause caffè al bar, elenca i soliti vecchi trucchi: lascia sempre una giacca di scorta sulla sedia, gira comunque con un faldone sotto il braccio, dà il badge a un collega fidato che timbri al posto tuo. Per lui ha funzionato. Del resto gli angoli della pacchia non si trovano solo in certi settori ma anche in certe zone. La regione Trentino ha la bellezza di 321 dipendenti a tempo indeterminato. E quella siciliana conta 20 mila dipendenti diretti e permette che i suoi impiegati vadano in pensione con meno di 25 anni di servizio, come testimonia un altro libro, «Sprechi e privilegi nello stato libero di Sicilia», appena pubblicato da Laterza. Il fatto grave è che questa strategia della cicala è nel lungo periodo cretina. Fregare gli altri è alla fine fregare se stessi, dicono Marco Morello e Carlo Tecce che firmato per l'editore Ponte alle Grazie «Io ti fotto», dossier su un'arte nella quale ci perfezioniamo sempre di più. «Necessità fa virtù», si potrebbe obiettare: il lavoro che manca fa ritornare in auge la vecchia arte di arrangiarsi. Così ci sono i poveri diavoli che cercano di sbarcare il lunario, di svoltare la giornata, e i grandi imbroglioni che tessono trame su trame, per guadagnarci senza parere. Prendiamo l'affare di Segrate. Nel 1991 la Fininvest di Silvio Berlusconi sottrae la Mondadori a Carlo De Benedetti, grazie a una sentenza che tre gradi di giudizio hanno stabilito essere stata comprata. Sono passati 20 anni e pende ancora un risarcimento di 750 milioni di euro che Fininvest potrebbe versare alla Cir di De Benedetti. Però della cosiddetta norma salva-Mondadori - inserita nella Finanziaria 2010 - potrebbe approfittare per primo non il Cavaliere ma - ricordano Tecce e Morello - «un partner d'affari di De Benedetti negli anni Novanta, 3M Italia». Ecco i «professionisti del fottere», come li chiamano gli autori. Poi ci sono le mezze tacche: il tassista che ti vede trafelato perché stai per perdere l'areo e ti chiede 60 euro per portarti a Fiumicino invece dei 40 fissati dal Comune. La signora-bene che pretende mille euro per affittare in nero agli studenti un tugurio lontano dall'università un'ora di viaggio in autobus. Il meccanico che per riparare un suv chiede 4 mila euro invece degli onesti 300. I finti impiegati della società del gas che narcotizzano la nonnina. O i predoni di identità che su Facebook utilizzano il profilo di un altro. Come è successo a un insegnante al quale un pedofilo ha rubato la «faccia virtuale». Giuseppe Prezzolini, l'intellettuale vissuto per anni negli States, nel primo capitolo del suo «Codice della vita italiana» ha parlato «Dei furbi e dei fessi». Ecco qualche aforisma. «I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini». «Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui». «I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta». Il più agghiacciante: «L'Italiano ha un tale culto per la furbizia che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno».

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