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diDINA D'ISA L'India svelata con le sue complessità, le su diversità culturali, sociali e linguistiche, in un confronto tra società indiana contemporanea e tribale. Questo e altro ha affrontato il film «Gangor» di Italo Spinelli, in concorso al Festival di Roma, girato nel West Bengala e interpretato da un cast tutto locale. La pellicola (italo-indiana e per noi prodotta da Angelo Barbagallo) è tratta da uno dei tre racconti della più importante scrittrice indiana contemporanea, Mahasweta Devi, sulla Trilogia del seno. Da sempre, Devi è impegnata nelle lotte sociali (in particolare delle donne), critica il rapporto (troppo distante) tra la classe media urbana e quella povera tribale. La storia prende spunto da una foto che ritrae una donna della tribù mentre allatta il suo bambino. Ma questa immagine, pubblicata poi su alcuni quotidiani, innesca nella vita del fotoreporter e della donna una serie di conseguenze fatte di violenze ed emarginazioni. Per il regista, «è stata un'esperienza molto intensa, perché in India mi sento come a casa. È un film che potrebbe avere problemi di censura in India, è controverso, si parla di temi coraggiosi e gli attori potrebbero addirittura mettere a rischio la propria carriera. I fondamentalisti indù potrebbero reagire persino in modo violento, perché la nudità lo rende controverso, anche se in India c'è un pubblico per storie come questa». Ma per la scrittrice Devi, presente ieri al festival capitolino, se questo film «venisse bloccato andremo a New Dheli. Questa storia - ha aggiunto - racconta qualcosa di frequente: i rapporti forzati. La società tribale indiana è regolata da leggi tribali, uguali per tutto il Paese. Non c'è ad esempio discriminazione tra bambini e bambine: in caso della morte del padre, tutto viene diviso equamente e non esiste la tradizione della dote. Nelle società tribali le donne sono sempre trattate con dignità, ma è nelle società normali che le donne devono battersi per la pari dignità. La bellissima protagonista indiana, Priyanka Bose, che interpreta la mamma mentre allatta e poi viene immortalata nella fotografia, ha sottolineato che il film è stato un viaggio interiore: le violenze subite da Gangor potrebbero accadere a chiunque, si deve lottare per la dignità femminile. Gangor viene violentata e messa sulla strada solo per quella foto e si troverà a far parte di quello sfruttamento femminile che voleva combattere». Il film mette anche il dito sulla piaga di certo giornalismo che, pensando di fare del bene con i propri scoop, si ritrova dalla parte sbagliata, Drammatica la scena finale nella quale il fotoreporter Upin è impazzito per quello che è successo, mentre la bella Gangor mostra al posto del seno delle orribili cicatrici. Si raccontano gli anni '70, 80 e 90, ma pare di essere nel XVI secolo, in una società feudale divisa in caste in cui vige il potere di vita e morte del padrone sui suoi subalterni che lavorano per un piatto di riso o per un vestito. Al Festival di Roma è stato presentato ieri anche un altro Bollywood, altrettanto anomalo, ma molto diverso. Il film «Il mio nome è Khan» di Karan Johar (già passato alla Berlinale) con Sha Rukh Khan, megastar indiana assediata e idolatra dai suoi fan anche nella Capitale, è passato tra gli Eventi Speciali e uscirà nelle sale il 26 novembre distribuito da Fox. Tre ore di pellicola per raccontare il mondo dopo l'11 settembre che mutò i rapporti tra islamici e occidentali. Troppi sospetti hanno travolto lo stesso protagonista, fermato a Los Angeles durante le riprese del film. La vicenda è quella di Rizwan Khan, bambino musulmano con la sindrome di Asperger, cresciuto con la madre (Zarina Wahab) che, da adulto (Shah Rukh Khan), s'innamora di una madre single indù: tutto cambierà dopo la strage delle Torri Gemelle, perché i suoi tic mescolati alla sua genialità, alla sua fisionomia e al suo strano modo di fare dovuto alla malattia, desteranno i sospetti della polizia che lo arresterà. «My name is Khan» con l'aggiunta della frase «I'm not terrorist» è quello che lo sfortunato hindu vuole dire al presidente Obama in persona, per rassicurare, una volta per tutte, il mondo che si sbaglia a identificare buoni e cattivi per il colore della pelle o per la religione che professano. E alla fine, il protagonista s'incontrerà davvero con il presidente Usa, ma solo perché a Bollywood, tra musica, lacrime e risate, tutto può succedere.

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