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di LIDIA LOMBARDI Gli sposini col pallino per la fotografia seguono disciplinati i consigli della Lonely Planet.

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Siria,cuore del deserto. Palmyra è la città di Zenobia - la Cleopatra del Medio Oriente che si ribellò ai Romani e ne pagò il fio con le catene - ed è nella top ten dei siti archeologici più visitati del mondo (del resto Damasco è in sesta posizione tra le capitali preferite dai turisti, parola di «New York Times»). E loro, maritino e mogliettina, optano per la levataccia. All'alba sono già sotto l'arco trionfale di duemila anni fa colorato di rosa da sole e sabbia e all'imbocco di una strada lunga un chilometro che conserva un bel po' delle colonne. «Poi ci spostiamo al tempio di Bel» è la loro intesa. Ma hanno fatto i conti senza l'oste. Palmyra alle sei di mattina è un viavai di «pellegrini», fotografare le rovine senza pullman sullo sfondo non è semplice. Il fascino del luogo, le antiche pietre tra cielo azzurro e sabbia appagano comunque più di un miracolo. Ma le oasi, le palme, il prato inglese da tè nel deserto sono dentro ai recinti di alberghi 5 stelle. C'è il kitsch del nuovissimo «Dedemann», c'è lo stile coloniale del «Tadamora», come si chiamava in origine Palmyra. C'e il paese moderno a ridosso delle mura, raddoppiato in un pugno di anni. Ci sono i cellulari che squillano aiutati dall'antennona piazzata sulla collina accanto al castello arabo del XII secolo. È una città antica in progress, Palmyra. Le missioni di archeologi continuano a scavare. Quella italiana lavora attorno alla cinta muraria dietro l'agorà, il progetto durerà due anni. Poi sono all'opera i tedeschi, i polacchi, gli svizzeri. I giapponesi hanno scoperto di recente una tomba sotterranea. Tutti ammassano cumuli di sabbia e cocci di venti secoli fa. Intanto s'aprono nuovi resort, va a gonfie vele il «Beduin Corner» dove le donne cuociono sulla brace focacce spalmate di olio e origano e gli uomini arrostiscono il montone. Si parla tanto italiano. «Nei primi sei mesi del 2010 i turisti sono aumentati del 21 per cento solo qui a Palmyra e a guidare il plotone sono i vostri connazionali», quantifica nella nostra lingua, e con la parlantina sciolta perché ha studiato tre anni a Perugia, Mohamad Saleh, manager del governo. È soddisfatto. La sera prima l'anfiteatro era gremito di turisti per il musical sulla vita di Zenobia. Decibel ed entusiasmo scaricati sulle antiche mura per uno degli spettacoli del Festival della Via della Seta che ogni anno accende i riflettori da Aleppo a Damasco passando per Latakia e Maoula, la città aramaica con le statue di Cristo e della Madonna incassate tra le rocce. «Stanziamo per il Festival l'equivalente di un milione dei vostri euro», dice Saleh e rilancia il discorso del ministro per il turismo Al-Qala'a e la strategia del governo del giovane presidente Bashar al-Assad, la sua apertura al dialogo con l'Occidente che si serve anche di questa offensiva del turismo. Certo, il prezzo che si paga è anche una Siria diversa da quella conosciuta da Lawrence d'Arabia. È il tributo di una Palmyra nella quale gli ambulanti inseguono in motorino i turisti attraverso le rovine. Però se si riesce a guardare con gli occhi del viaggiatore invece che del turista, in questa Siria affamata di progresso si possono fare incontri inusitati. E proprio sulla via di Palmyra, dove comincia in deserto. Il pullman caracolla sulla fettuccia di asfalto. Ecco, laggiù, una tenda beduina. I viaggiatori scendono, si avvicinano a piedi. Gli si fa loro incontro una donna. Li invita sotto il fresco del telone tenuto su da grossi pali. Fuori, un gregge di montoni s'arrocca su un quadratino di erba. Nella tenda ci sono le quattro figlie della matriarca, la più giovane si chiama Maria. Hanno tutte gli occhi celesti bistrati di nero, i capelli nascosti dall'hijab, il velo. Il fratello, il primogenito, trastulla la sua bambina, una lattante con una ciocca di capelli intrecciata al ciondolo protettivo della «mano di Fatima». Il capofamiglia è via, per certi acquisti. Ma le donne, affabili, preparano per i viaggiatori il tè e un caffè denso all'aroma di menta. Li pregano di fermarsi a pranzo, pronti ad ammazzare un montone e ad arrostirlo. Li invitano alla festa di fidanzamento che una delle ragazze farà in autunno, quando finirà la transumanza nel deserto e tornerano nella casa di mattoni che al-Assad ha voluto per i beduini. La matriarca chiacchiera sicura e mostra il suo carisma. Già, il carisma delle donne. Un altro rovesciamento dei luoghi comuni che affibbiano alla donna musulmana un ruolo di sottomissione all'uomo. In questo Paese laico, guidato da un presidente che ha studiato nel Regno Unito, le donne accedono senza paletti alle professioni. Come vada davvero dentro le quattro mura di casa lo si capisce da una festa di matrimonio in un grande albergo di Aleppo. La sposa - abito bianco come il velo - si presenta nella hall sottobraccio allo sposo mentre un complessino di danzatori e suonatori tradizionali martella sul tamburo e fa roteare corte spade. Lei ne impugna una e simula un duello col fidanzato. Solo allora entrano nel salone del banchetto. Luci basse, musica occidentale. Ai tavolini tondi siedono solo donne, la festa è vietata ai maschi, anche al padre della sposa. Suonano un lento, la ragazza si toglie il velo, mostra una scollatura alla Rita Hayworth in «Gilda». I due innamorati ballano stretti, si baciano. Seduzione a orologeria. Lo sposo è nella fossa delle leonesse. E nelle mani salde della sua signora.

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