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Barney per sempre

Paul Giamatti e Dustin Hoffman, rispettivamente Barney e il padre nel film di Lewis

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Lo ritrovarono ai piedi del letto, con i tubi staccati. Era morto in solitudine, chiedendo aiuto, in un ospedale della sua Montreal, all'alba del 3 luglio 2001. Un'indagine della famiglia stabilì che i sanitari si erano comportati in modo negligente, negli ultimi giorni di Mordecai Richler. Anche l'addio struggente e inascoltato dello scrittore ebreo-canadese sembrava un calco quasi perfetto delle sorti di Barney Panofsky, il protagonista alter-ego del formidabile romanzo "La versione di Barney", il decimo e ultimo tra quelli usciti dalla sua penna. Nessuno fra personaggi della letteratura americana degli ultimi vent'anni può vantare lo stesso appeal da tragicomico bastardo, quasi tutti i lettori vi si riconoscono, e quegli altri pochi tifano per lui: Barney vanta una carriera sentimentale nella quale indovina e sbaglia mogli, fino alla terza, l'adorata Miriam, che però non gli perdona un tradimento. È sospettato di aver ucciso il suo migliore amico, beve e fuma smodatamente, detesta le buone maniere e se ne frega delle convenzioni sociali. Una specie di Charles Bukowski meno cinico e non così emarginato, un epigono dell'"Herzog" al centro del capolavoro di Saul Bellow: Barney è una figura teneramente disperata, terrorizzata dai suoi fallimenti, dalla vecchiaia e dalla fine incombente. La sua esistenza è complicata dall'Alzheimer, che gli fa dimenticare il nome di «quell'arnese» per girare la minestra, gli impedisce di ricordare dove abbia parcheggiato l'auto, e che non favorisce la messa in ordine degli eventi della propria vita. Il commovente finale, affidato a una nota del "figlio" di Barney, getta una luce imprevista sulla "versione" dei fatti raccontati dal personaggio. A Venezia c'è grande attesa per la presentazione, domani, del film di Richard Lewis, con Paul Giamatti nei panni di Barney e Dustin Hoffman in quelli del padre. Parte dell'ambientazione è stata trasferita da Parigi a Roma, città dove i coniugi Richler avevano vissuto giorni felici, e dove erano tornati per celebrare, con sorniona curiosità, l'inaspettato successo italiano del libro. Pubblicato in America nel 1997 e tradotto in italiano da Matteo Codignola per Adelphi nel 2000, il romanzo divenne infatti un travolgente caso editoriale (trecentomila copie vendute) nel nostro Paese grazie al fiuto di due cronisti de "Il Foglio", Christian Rocca e Mattia Feltri, che letta una lusinghiera recensione di Mariarosa Mancuso, corsero ad acquistare il romanzo, divorandolo d'un fiato e vedendoselo poi ri-caldeggiare - un paio di mesi più tardi - dal direttore Giuliano Ferrara. Quel passaparola redazionale generò l'adozione di Barney-Richler, nel gioco di specchi fra lo scrittore e la sua invenzione. A lungo, ogni giorno, "Il Foglio" pubblicò articoli sulla "Versione", ne fece un must non solo culturale, una bandiera del politicamente scorretto. Impattando fatalmente nel birignao della sinistra cachemire: memorabile fu un intervento di Concita De Gregorio su "Repubblica", che maldigeriva l'esaltazione dell'Elefantino, di Marcenaro e degli altri per un antieroe maschilista e fedifrago come Panosfsky. Anche all'Adelphi non parvero entusiasti dell'insistito tam-tam dei ferrariani. Un paradosso che ora Rocca rievoca in un volume ("Sulle strade di Barney", Bompiani), realizzato durante un viaggio in Canada, dove ha incontrato familiari e amici di Richler. Rocca ha indagato su quanto vi fosse del creatore nella creatura: tutti gli negavano che il romanzo fosse autobiografico, ma troppe erano le analogie fra i due. Però Mordecai si era sposato due volte, non tre: e la moglie Florence era il modello cui si era ispirato per Miriam. Per il resto, precisò uno dei figli, «mio padre è stato accusato di tutto, ma a differenza di Barney mai di omicidio». Amante dell'hockey, del whisky Macallan, dei sigari, del biliardo, Richler coltivava amicizie prestigiose e ribalde: ai tempi in cui Philip Roth scriveva "Il lamento di Portnoy" i due futuri pilastri della letteratura d'oltreoceano scandalizzarono una tavolata di benpensanti ingaggiando una sfida a chi tra i due superasse l'altro nel turpiloquio. In altri momenti, la gang era completata da Sean Connery e Christopher Plummer, indiziati però come corteggiatori della sua Florence. Richler amava schermirsi con malinconia autoironia: «Racconto sempre le stesse cose, la scrittura è sulla morte, sul breve tempo di cui disponiamo e sulla frustrazione che questo ci crea». Quando entrò nell'Ombra nel suo letto d'ospedale, i fan di Barney piansero una seconda volta, come quando avevano chiuso il libro. Lui avrebbe preferito consolare Miriam Panofsky. Se solo fosse riuscito a ricordare il suo telefono.

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