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In Biblioteca Vaticana con Garin

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Piùche una sigla, è da un'infinità di tempo una formula magica. B.A.V: Biblioteca Apostolica Vaticana. E da lì poche rampe di scale ti separano dall'altro tempio di autentici segreti, non quelli fasulli alla Peyrefitte o alla Dan Brown, ma quelli autentici perché la storia è sempre più impensabile e fantasiosa della realtà. Come in A.S.V: Archivio Segreto Vaticano. Quante leggende, quante oscure dicerie, specie su quell'aggettivo intrigante, "segreto"... Arrivavi al grande cancello di ferro, di solito provenendo dal colonnato di San Pietro, e ti facevi piccolo piccolo perché era così che ti sentivi. La guardia svizzera, l'uniforme azzurra di servizio e le armi ultramoderne appena in mostra, ti guardava impassibile. T'infilavi nell'ufficio subito a destra, prima dell'ampio e luminoso cortile d'ingresso alle immense scalinate, e un rapido e solerte funzionario in quattro e quattr'otto, se avevi la lettera di raccomandazione giusta, ti faceva il tesserino. Una chiave magica, che ti dava accesso a quel paradiso d'incantato sapere di pergamena e di carta. Ho detto "lettera di raccomandazione": e qui bisogna intenderci. La mia, a suo tempo - correva l'anno 1963: Mémoires d'Outretombe - l'aveva firmata Ernesto Sestan. Non era un polizzino nel quale si chiedesse un favore sottobanco. Era una lettera semplice e solenne, in carta intestata dell'Università, nella quale uno studioso illustre era chiamato a testimoniare che il tal giovincello o giovincella era in realtà un ragazzino/a di buone abitudini e di oneste intenzioni, che aveva bisogno di accedere a quei favolosi fondi librari per le sue ricerche. Vorrei raccontare qualche bella avventura di quelle da studente squattrinato, capitatami fra quelle austere mura. Non scoperte sensazionali: io non ne ho mai fatte. Magari, qualche storiella sentimentale tra noi ragazzi. Ma gli ambienti vaticani non erano adatti a cose del genere. Ti sentivi accudito, assistito, circondato dalle massime attenzioni: ma anche discretamente e incessantemente sorvegliato. Di quando in quando, con la cosa dell'occhio ti capitava di coglier lo svolazzar di qualche illustre tonaca nera, violetta o addirittura paonazza; e allora il nome riverito di monsignore o di Sua Eminenza circolava temuto e riverito tra i tavoli di lettura. Fu lì che, un pomeriggio del '65, Eugenio Garin - che a Firenze quasi non mi degnava d'uno sguardo - mi chiamò con un cenno al suo posto di lettura e mi mostrò con un sorriso incantato una cinquecentina preziosa, l'Encomion Morias, l'"Elogio della follìa" di Erasmo da Rotterdam. I margini erano fittamente annotati con un inchiostro vetroso, tra il bruno e il violetto: era la grafìa di un grande studioso di qualche tempo dopo, forse il cardinal Baronio. "Davvero lei è allievo di Sestan?", mi chiese una volta un austero gesuita dietro gli occhiali dalle stanghe d'oro che sedeva non lontano da me. Aveva un bel volto affabile e tutti dicevano che sarebbe diventato molto importante: ma portava un nome comune, lombardo, qualcosa come una marca di vermouth, che dimenticai subito come senza dubbio lui dimenticò il mio. Molti anni più tardi mi sarei ricordato di quel volto, rivedendolo sui giornali. Era il cardinal Martini. Proprio lui: il medesimo che di recente, a un politico semiateo che vantava le "radici cristiane dell'Europa", avrebbe risposto asciutto e cortese: "Guardi che, secondo il Vangelo, l'albero si riconosce ai frutti". Dio La benedica, Eminenza. Il 20 settembre 2010 Roma celebra ufficialmente la data di quel 20 settembre di ormai centoquarant'anni fa, quello di Porta Pia e dei proclami del Grande Oriente. Confesso di aver qualche simpatia papalina: è una festa che non mi è mai piaciuta un granché: quando mi capita di essere a Roma in quel giorno, non manco mai la messa in suffragio dei caduti dell'esercito pontificio. E il 20 settembre riapre la Biblioteca Apostolica vaticana, dopo un intervallo di molti mesi. Siamo tutti curiosi di conoscere gli ammodernamenti che vi saranno stati apportati, e siamo certi che non ne saremo delusi. Qualcuno ha voluto vedere, nella scelta di quella data per l'apertura, una sorta di provocazione pontificia, quasi una rivincita di Porta Pia. Sono certo del contrario: si tratta di un magnifico gesto di rappacificazione e d'amicizia. Centoquarant'anni dopo il violento ingresso armi alla mano, i palazzi pontifici riaprono solennemente i loro tesori più belli e li mettono di nuovo a disposizione di tutti. Visitatelo, questo palazzo delle meraviglie: c'è qualche formalità da fare, ma con un po' di sforzo tutti possono accedervi. Non mi ricordo più quale giovane protagonista di un romanzo inglese dell'Ottocento, nel chiarore ovattato d'una bella biblioteca, chiede rapito all'istitutore: "Credete, signore, che ci sia al mondo davvero qualcosa più bello dei libri?". No, sir: non c'è nulla di più bello dei libri. La nostra povera società italiana d'oggi è infelice perché lo ha dimenticato.

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