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Troppi film dai libri

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Follia e poesia travolgono la Mostra di Venezia con il primo dei 4 film italiani in concorso diretto da Ascanio Celestini. «La pecora nera» è nato dalla presa diretta con ex pazienti, già spettacolo teatrale e libro, è interpretato dalla stesso regista, con Giorgio Tirabassi e Maya Sansa, per viaggiare in un arco di tempo che va dal 1975 al 2005, prendendo di mira i manicomi e le istituzioni. Ambientato nell'ex manicomio romano di Santa Maria della Pietà (e dal 15 ottobre al cinema distribuito da Bim), il film ha come protagonista Nicola (Celestini), folle proprio come la madre morta in manicomio e folli sono i suoi amici, tra cui alcuni degenti dell'istituto manicomiale. «Non è un film di denuncia della barbarie del manicomio, ma piuttosto del manicomio come istituzione al pari di altre, come il carcere e la scuola che sono cose altrettanto alienanti»: ci va duro il regista che sembra tentennare e diventa poi permaloso se qualcuno gli ricorda che, forse, quella storia rende più in teatro o in un libro che non in un film. Ma su un punto ha ragione: «Se il manicomio è una istituzione terrificante, un'idea criminale per il solo fatto di averlo concepito, ci sono altre realtà, come il supermercato, dove c'è la stessa folle compulsività e alienazione. Più che una denuncia verso le istituzioni, la mia è una prospettiva etica che fa più affidamento all'individuo che alla società». Belle parole, sì ma intanto ci si domanda: a quale genere di pubblico è diretto il film? E soprattutto chi lo andrà a vedere? Perché le idee languono tanto nel nostro cinema? Al punto che nella Mostra veneziana sono molti i film tratti da libri o da spettacoli teatrali. Magari anche belli, perché no? Ma alla fine sono sempre le stesse storie. Da questo di Celestini a quello di Saverio Costanzo (in concorso) «La solitudine dei numeri primi» tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Giordano. Passando per «Notizie dagli scavi» di Emidio Greco (fuori concorso), trasposizione del racconto di Franco Lucentini. Fino al «Vallanzasca-Gli angeli del male» che Michele Placido ha realizzato dal libro di Carlo Bonini. E alle «Venti sigarette» di Amadei. Per finire con l'attesissimo «Noi credevamo» di Mario Martone, storia del nostro Risorgimento condensata in più di tre ore di pellicola rivisitando il libro di Anna Banti. Soltanto il quarto italiano in concorso, «La passione» di Carlo Mazzacurati, è una storia originale che non vediamo l'ora di gustare, con quella sottile suspsense che separa l'attesa dalla proiezione di un bel film. La scelta di Marco Müller, caduta su molte (troppe) pellicole ispirate a storie già note si allarga anche alle opere straniere. Ecco «La versione di Barney» (scritta dal canadese Mordecai Richler) del regista Richard J. Lewis, con Dustin Hoffman e Paul Giamatti. E «Norwegian wood», romanzo di formazione per adolescenti di Murakami riportato alla Mostra in pellicola dal regista franco-vietnamita Tran Anh Hung. E persino il sex symbol Ben Affleck (che ci manca tanto come attore e basta) ha diretto per il festival lagunare «The Town» ispirato a «Il principe dei ladri» di Chuck Hogan. E ancora, «The Tempest» di shakespeariana fattura diventa l'ennesimo film (della regista Julie Taymor) sulla vicenda di Prospero, re usurpato che, trovato riparo in un'isola con l'uso dei poteri magici, scatena la tempesta perfetta che riporterà pace e giustizia. E dulcis in fundo, è arrivato alla Mostra (ieri in concorso) «Miral» del regista ebreo Julian Scnabel che ha trasposto sul grande schermo il romanzo «La strada dei fiori di Miral» scritto dalla sua fidanzata palestinese Rula Jebreal. Molti ricorderanno la bella Rula, naturalizzata italiana, quando faceva la giornalista e la conduttrice a La7. Nonostante tutto, il film è riuscito a raccontare un tema delicato come il conflitto arabo-israeliano, partendo da una storia personale, quella di Rula, proprio nel giorno in cui sono ripresi i negoziati alla Casa Bianca tra Israele e Palestina. Miral è una ragazzina palestinese che, dopo il suicidio della madre, cresce nell'istituto per orfani: con la sua vicenda Schnabel ripercorre la nascita dello Stato di Israele, nel 1948, fino agli accordi di pace di Oslo, nel 1994. Intanto sfilano le immagini della violenza subita dalla madre di Miral da parte del padrino, e dell'infermiera Fatima che ha messo una bomba in un cinema. Per la Jebreal, che in fondo è stata sul set della propria vita privata, «l'istruzione è la chiave per la pace. Seguire il film (oggi nelle sale) è stata un'esperienza dolorosa e obbligata, per guardare al mio futuro dovevo vedere il mio passato». La coppia è andata via mano nella mano portandosi dietro un altro forfait della Mostra: l'attrice Freida Pinto, attesa al Lido, è dovuta restare a casa per una seria emergenza familiare in India.

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