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Il Colosseo è lo spot migliore

Uno scorcio dell'interno del Colosseo a Roma

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I giovanotti dell'Est Europa vestiti da centurioni, gli africani con elmo e spadone come fossero appena sbarcati dalle colonie imperiali di Mauritania sanno bene che piazzarsi davanti al Colosseo e farsi fotografare con i turisti dalla bocca buona è un affare. Allo sfondo dell'Anfiteatro Flavio, del pilastro di travertino «lavorato» da duemila anni di storia nessuno resiste. Insomma, il marchio-Colosseo funziona sempre e comunque. È quello che acchiapperebbe più auditel in un resuscitato Carosello dedicato esclusivamente al Bel Paese. I padani, che i conti ce li hanno nel dna, hanno quantificato quanto vale il brand Colosseo. E hanno stilato la classifica dei monumenti italiani dal pragmatico punto di vista dell'appeal pubblicitario. La certosina operazione porta la firma della Camera di Commercio di Monza e Brianza. Che non si è fatta influenzare dai miti «celtici» di Bossi & Co. Il Colosseo - contabilizzano - vale 91 miliardi di euro. E batte il Duomo di Milano, con buona pace di chi gorgheggia malinconico «o mia bela Madunina». Alle guglie meneghine però è stato assegnato un onorevole terzo posto: per loro gli imprenditori sono disposti a spendere 82 miliardi, tanto sarebbe il ritorno di immagine. Il podio resta un esito a sorpresa, per la verità. I bookmaker avrebbero puntato di più su altre bellezze, che invece, secondo la Camera di Commercio brianzola, il gioiello della sciura Moratti surclassa. Gli scavi di Pompei, ad esempio, smuovono non più di 20 miliardi. Sicuri del fatto loro i Musei Vaticani, al secondo posto con 90 miliardi di euro. Ma se si pensa al «logo» Cappella Sistina, all'immagine buona per tutto del michelangiolesco dito di Dio che tocca quello di Adamo e gli infonde la scintilla della vita, allora i conti tornano. Negli anni Novanta per il restauro della Sistina i giapponesi non badarono a spese. Soltanto per le riprese, in esclusiva, Nippon Television Network sborsò sei miliardi di lire. Adesso per il consolidamento del Colosseo, improrogabile, il sindaco Alemanno e il sovrintenente archeologico di Roma, Giuseppe Proietti, hanno bisogno di 23 milioni di euro. Hanno lanciato il bando, attendono una cordata di imprenditori. Ci saranno ancora una volta i riccastri del Sol Levante, ma anche impreditori nostrani, come Diego Della Valle. Al contrario, a dispetto del terzo posto nella classifica dei più adatti allo spot, il Duomo di Milano stenta a trovare imprese disposte a spendere per il restauro. Per spiegare la faccenda ritiriamo fuori la cartina di tornasole del Colosseo. Quanti turisti vanno in brodo di giuggiole a farsi fotografare davanti alla «Madonina» insieme con un'odierna controfigura cara ai lumbard forgiati su Attila, capo degli Unni? Nessuno. Non resta che toccare le corde del sentimento. Lo ha fatto un ex assessore alla Cultura milanese, Salvatore Carrubba. Con un appello ai cattolici. Siano loro a partecipare a una sottoscrizione pubblica per la propria cattedrale. Dice altro, l'indagine brianzola. Ovvero che le bellezze artistiche italiane valgono, tutte insieme, quasi 400 miliardi di euro. Una stima, sia chiaro, non di quotazioni in caso di una impossibile alienazione, ma, appunto, dell'appeal pubblicitario. Insomma, non si prende in considerazione il patrimonio tangibile bensì l'immagine e la visibilità dei monumenti. Dunque, ecco la hit parade. Dopo Colosseo, Musei Vaticani e Duomo di Milano, viene la Fontana di Trevi, che calamita 78 miliardi di euro (e pensare che il principe De Curtis, nel film «Totòtruffa», se la sarebbe venduta per miseri dieci milioni di lire). A seguire, gli scavi di Pompei (20 miliardi di euro), la basilica di San Marco a Venezia (16 miliardi) e gli Uffizi di Firenze (12 miliardi). L'immagine dei siti artistico-culturali fa anche impresa: sono circa cinquanta le aziende che a Milano hanno scelto di inserire nel loro nome "Duomo". Altrettante nella capitale sono intitolate al "Colosseo". Il valore del brand - spiega l'ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza - è stato calcolato sulla base di dieci parametri di vivacità economica, socio-culturali e imprenditoriali, stilando un indice di valenza turistica (che prende in considerazione il valore economico del territorio, la conoscibilità del monumento, il flusso di visitatori del territorio e del monumento). Vi si aggiunge un parametro di attrattività economica (che considera il numero di occupati nel turismo, l'accessibilità multimodale al territorio, il flusso e la presenza di stranieri, il valore dell'export). Fatto due più due, ecco perché i gladiatori battono tutti.  

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