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Elvira Sellerio, «maga» dei libri

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Sen'è andata una donna coraggiosa, intelligente. Un'imprenditrice. Antesignana di una schiera di editrici che ora, sul suo esempio, si fa agguerrita. Di Elvira Sellerio, morta nella sua Palermo a 74 anni, per un male invincibile al polmone, parole come «coraggio», «fiuto», «indipendenza», «cultura» non sono le esagerazioni che si usano per chi scompare. La sua casa editrice, con Laterza la maggiore del Sud, nacque nel 1969 proprio come una sfida. Lei, Elvira Giorgianni, sposata con il fotografo Enzo Sellerio, laureata in giurisprudenza, cresciuta con i fermenti culturali del Gruppo '63 - Arbasino ed Eco lo fondarono insieme al siciliano Michele Perriera in un albergo appena fuori Palermo - nel '69 decise di mollare l'impiego alla Regione e di investire la liquidazione, sei milioni di lire, nell'impresa. L'idea era nata con Leonardo Sciascia e con quel grande intellettuale isolano che era Antonino Buttitta. Sciascia dettò il programma culturale della neonata Casa: cultura amena, «cultura in cui l'impegno politico non è esplicito. Dunque, cultura della leggerezza, che non rinuncia all'eleganza». Programmatico il titolo della collana d'esordio, «La civiltà perfezionata». Il boom nel 1978: centomila copie vendute con «L'affaire Moro». Appunto di Sciascia. Ma leggerezza, eleganza e soprattutto la capacità di scoprire talenti letterari Elvira Sellerio - che si separò dal marito poco dopo l'avvio della sua impresa, portata allora avanti con tutte donne, eccetto il figlio - le rivelò con i volumetti blu della collana di narrativa. Minimali, non patinati, di carta vergata, con al centro un'illustrazione d'autore: Maccari, Zancanaro, Caruso. Ricordo il primo che ebbi tra le mani. Era il 1981. Incuriosiva la veste tipografica. Incuriosiva l'autore, un nome nuovo e proprio siciliano: Gesualdo Bufalino. Incuriosiva il titolo di quel romanzo barocco e strano, nel quale serpeggiava un'idea di vacuo, di sfinimento nel nulla. Si chiamava «Diceria dell'untore», quel romanzo. Opera di uno scrittore uscito fuori a 61 anni. Una rivelazione, simile a quella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Una fama che scoppiò con la vittoria del Premio Campiello. Un successo che Bufalino non ripetè. Si replicarono invece i «colpi» di Elvira Sellerio. Nati dalla sensibilità, non dall'inseguimento della letteratura di plastica, pulp, a sensazione, a imitazione. Pubblicò Antonio Tabucchi, Maria Messina, Luisa Adorno. Autori non nuovi, ma dimenticati. Ma la signora dell'editoria li rilancia. Nel 1990 la Casa siciliana esce con un librettino, «Carta bianca», che racconta di un commissario di polizia - De Luca - impegnato a indagare su un torbido delitto, nel passaggio dalla Repubblica di Salò a quella italiana. A scriverlo è un giovane autore, Carlo Lucarelli, e lo accusano di aver prodotto un giallo «revisionista», in quanto presenta «il volto umano di un'epoca e un momento storicamente perversi». Anche qui un successo. E l'individuazione di un filone, il giallo all'italiana. Una tendenza che esplode con l'altro autore che ha fatto la fortuna di donna Elvira: Andrea Camilleri. «Negli anni Novanta la Sellerio, che aveva cominciato a pubblicare i miei libri, era in gravi difficoltà finanziarie, quando arrivò, a salvarla, e me con lei, il commissario Montalbano, come il VII Cavalleggeri in un vecchio western», ha ricordato lo scrittore siciliano. Avveniva quindici anni fa, il primo intrigo del commissario di Vigata si chiamava «La forma dell'acqua». Poi venne «Il birraio di Preston» e tutti gli altri. Cinque milioni di copie. Gli anni 2000 sono quelli di Margaret Doody che ha venduto oltre 100 mila copie del suo «Aristotele detective». Poi Penelope Fitzgerald, il russo Dovlatov, Bolano, Carofiglio e per ultima Alicia Gimenez-Bartlett. Il fiuto di Elvira Sellerio, vincente.

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