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Anni Ottanta, rebus della Storia

La strage di Bologna del 1980

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Correva l'anno 1980 e nel mondo soffiava un vento di destra: la Thatcher nel 1979 aveva vinto le elezioni inglesi ed aveva inaugurato una linea di politica estera antieuropea e di lotta al potere interno delle burocrazie sindacali; Reagan era stato eletto Presidente degli Usa ed aveva avviato una politica di liquidazione dell'Impero sovietico e della sua gerontocrazia sino a favorire l'avvento di un Kombinat politico-mafioso intorno ad Eltsin. Inizia così la fine del "secolo socialdemocratico" e l'implosione del comunismo internazionale. In Italia il 1980 si apre con l'uccisione di Mattarella e di Bachelet, il terrorismo continua a mietere vittime. Tra queste seguiranno il giornalista Tobagi ed i giudici Minervini, Galli e Amato. Il 1980 è l'anno della forte espansione della P2 che attraverso il "Corriere della Sera", con una innaturale combinazione tra estremismo sindacale aziendale e gestione autoritaria di destra, lancia il suo manifesto politico di restaurazione con l'articolo: Rinnovarsi o tramontare del 24 novembre. Dopo la fine dell'unità nazionale e dopo la tragedia della politica della fermezza che portò alla morte di Moro, il Psi torna al Governo dopo sei anni di tormentato sostegno esterno. Il 4 aprile i socialisti partecipano al governo con una numerosa delegazione e trovano nel Presidente del Consiglio Cossiga il traghettatore attento al cambio di ciclo politico. Io assumo l'incarico di Ministro dei Trasporti e nei primi quattro mesi di Governo mi trovo a dover osservare da vicino le due stragi misteriose e difficilmente sondabili: Ustica e Stazione di Bologna. Se esse non sono l'unico simbolo del mutamento di ciclo internazionale, certamente costituiscono due eventi da visitare con speciale attenzione. Il mistero lungo e imperforabile che avvolge queste stragi può avere una sola plausibile spiegazione: il fine immediato della strage ha coperto un ancora più inconfessabile azione o messaggio di barbaria politica tutta interna ad un gioco internazionale che non seppe distinguere più i nemici dagli alleati. È dallo studio di queste due stragi che ricaviamo una quasi certezza: verità storica e verità giudiziaria o non coincidono o, addirittura, confliggono. Nel 1992, mentre si preparava la demolizione dell'ordine istituzionale così faticosamente costruito nella prima fase della vita repubblicana, in un seminario universitario su "Le nuove fonti per la storia dell'Italia repubblicana", il Prof. Adolfo Pepe consegnò una relazione di base che avrebbe dovuto aprire una seria discussione di metodo e di merito. Non fu così perchè la ricerca storica e politica di questi ultimi vent'anni è stata caratterizzata da due devianti esigenze: a) occultare il passato in base al principio chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato; b) presentare il presente come base verso l'ignoto secondo il principio che la navigazione a vista consente sempre un facile cambio di rotta. Il Prof. Pepe affrontò il tema più scabroso: esaminare i problemi che insorgono nell'uso delle fonti nella storiografia dell'Italia contemporanea. Provo a sintetizzare la linea indicata dal Prof. Pepe per capire come sono nate le difficoltà che impediscono oggi una agevole separazione tra verità diverse. All'inizio del primo lancio di una storiografia militante troviamo una diffusa produzione saggistica di tipo giornalistico. Il suo filo conduttore era "il disvelamento dei segreti occulti del potere". Secondo queste ricerche l'eversione era messa in opera da consistenti forze del ceto politico ed istituzionale. Era nelle forze di maggioranza di governo, il covo delle forze golpiste (piano Solo). Il testo base di questo filone è "La strage di Stato", ed il suo approfondimento è l'opera in sei volumi di Sergio Flamini "Il partito del golpe". Ma negli anni '70 tre avvenimenti impongono un cambio di analisi: l'esplosione del terrorismo di destra e di sinistra, l'uccisione di Moro, la strategia eversiva della P2. Dalla "controinformazione" si passa ad una riflessione teorica "volta a fissare sul piano giuridico-politologico i nuovi caratteri assunti dallo Stato e dal potere durante la democrazia repubblicana". "In sintesi la riflessione si spostava dalla storia dell'Italia repubblicana alla crisi della forma democratica dello Stato e all'alterazione della qualità del potere. Punto centrale della critica era considerato il blocco del sistema politico a causa della conventio ad escludendum verso il Pci. È nel 1988 che F. De Felice legge in dimensione storica quanto è accaduto utilizzando la duplice categoria del "doppio Stato e della doppia lealtà". È invece con gli studi di Pastorelli e Di Nolfo che vengono ricostruiti i nessi di condizionamento tra quadro internazionale rigido e legittimazione di una classe dirigente nazionale che agiva per mandato delle potenze egemoni. Ed è così che nel 1991 Ferraioli apre una discussione sull'utilizzo delle fonti in prevalenza giudiziarie, parlamentari, memorialistiche e giornalistiche. Il problema centrale posto da Ferraioli era: «Con quali fonti e con quali metodologie si poteva affrontare nella storia dell'Italia contemporanea il perno centrale della natura e della trasformazione del sistema istituzionale dello Stato democratico e del conflitto sociale e politico svoltosi nel confine tra legalità, illegalità e metalegalità tra violenza aperta, indotta e occulta, tra identità di gruppo, ruolo e collocazione nazionale e lealtà internazionale». Quali sono le difficoltà che incontrano gli storici per svolgere la difficile opera di ricavare la verità storica dall'immenso materiale del giudice togato e del giudice politico parlamentare? Come può lo storico rivedere, rielaborare e rileggere le fonti se il giudice - storico della politica e dello Stato - e la classe politica - che è diventata storico di se stessa con le indagini parlamentari - hanno già scritto che: "La storia dell'Italia contemporanea si riduce alla storia di una trama oscura e di una serie di complotti, che la vicenda visibile è nient'altro che apparenza, che la sostanza, la storia autentica, la "verità" si annida proprio nelle zone buie sulle quali l'unica luce possibile è appunto quella gettata dall'inchiesta giudiziaria e parlamentare? Nella storia dell'Italia unita non si era mai verificata una situazione simile, mai la magistratura e la classe politica si erano trasformate in modo così sistematico in storici, al punto da indurre in alcuni l'ipotesi che il loro lavoro di indagine, raccolta e ricostruzione dei fatti, fosse così ampio, organico e correlato da sostituire altre fonti. Dal carattere tipico di fonte integrativa questa attività della magistratura e della classe politica per l'imponenza probatoria, per la qualità dell'oggetto trattato, per la sistematicità e il lungo arco cronologico affrontato ha assunto i connotati di fonte sostitutiva di altre, imponendosi come fonte unica per la storia del potere politico nell'Italia repubblicana, per lo meno a partire dagli anni Sessanta". Dopo il lungo periodo della guerra fredda con le sue regole e con i suoi condizionamenti, si è aperto agli inizi degli anni '90 un periodo confuso. La fine di un ciclo politico istituzionale, il crollo del comunismo e il blocco di un modello capitalistico di tipo "specialmente" americano fanno affiorare una domanda storica ancor più complessa e drammatica: dove è il nesso tra sovranità limitata e identità nazionale? Affiora così la questione delle radici, delle basi della Costituzione e della legittimazione ma soprattutto la ricerca dei fondamenti etici, dei valori culturali, dei legami geostorici della stessa comunità nazionale.   Queste questioni ci pongono altre domande: perché la politica sia di maggioranza che di opposizione affidò alla giustizia la ricerca della verità storica e piegò le commissioni parlamentari d'inchiesta al ruolo di organi di ricerca para-giudiziari? Alle forze politiche ufficiali fu affidato il compito di diffondere una propria interpretazione del terrorismo, delle stragi e della violenza politica secondo parametri generici ed evanescenti (CIA e KGB, erano i responsabili di tutto ciò che avveniva nel mondo regolato da Yalta), oppure secondo semplificazioni ovvie e banali (ciò che danneggiava i palestinesi era opera del Mossad e ciò che colpiva gli interessi d'Israele portava il segno della mano dell'OLP e del terrorismo islamico). Il tutto ruotava intorno ad uno scolastico grigiore: le stragi di destra erano finalizzate al colpo di Stato, il terrorismo rosso mirava alla mobilizzazione delle masse deluse dall'entrismo istituzionale della sinistra sociale e politica con lo scopo di rendere incandescente il conflitto di classe. Queste due visioni contrapposte andavano bene sia ai sostenitori di un centrismo avverso agli opposti estremismi, sia ai sempre presenti costruttori di unità nazionali. La debolezza logica dei centristi e dei nazional-unitari, era nella visione provinciale e domestica dei fenomeni eversivi. Yalta non fu solo un trattato di pace/bilanciato tra le due grandi potenze imperiali uscite vittoriose dalla II guerra mondiale, ma fu anche un accordo vincolante per URSS e USA nel limitare la Indipendenza politica delle nazioni collocate sia nelle due grandi aree di influenza (alleanza atlantica e patto di Varsavia) sia nella grande area grigia residua del mondo. La riduzione della indipendenza politica si chiama: sovranità limitata. È la sovranità limitata che porta fuori dallo Stato nazionale la fonte generatrice del potere politico. Un colpo di Stato mira alla conquista della fonte del potere. Ma si poteva fare un colpo di Stato in Italia dove non risiedeva la vera fonte del potere politico? In parole povere chi voleva fare in Italia un colpo di Stato avrebbe dovuto colpire la Nato, l'Alleanza Atlantica e gli Stati Uniti.   Il discorso vale anche per coloro che avevano scelto l'obiettivo di mettere fuori gioco il Pci: avrebbero dovuto mettere in crisi il patto di Yalta. Non tutti i magistrati e non tutti i giornalisti di controinformazioni furono nel coro. Oggi con un libro intervista («Intrigo Internazionale») che vale un Manifesto per la riflessione storica, il Magistrato Dr. Priore ed il giornalista Fasanella, tentano una operazione temeraria e, speriamo, non imprudente di separare il nucleo di verità storica dalla verità del giudice-storico e del politico-storico. Sono da meditare le parole di un magistrato che ha saputo leggere le carte processuali tenendo separate la ricerca della verità giudiziaria da una corretta valutazione del contesto globale entro il quale si snodavano i fatti. Pregevole è l'opera di un giornalista d'inchiesta, studioso ed attento nell'approfondire le cause generatrici degli eventi tragici che hanno segnato la vita del nostro Paese. Il Dr. Priore ha una tesi: il contesto storico di lungo periodo che ha preceduto l'esito della II° guerra mondiale, l'affidabilità dell'Italia all'interno delle alleanze tra nazioni, il ritardo storico dell'Italia nella ricerca di una espansione coloniale ed il contesto storico post Yalta si sommarono con le difficoltà dell'Italia paese di frontiera Est-Ovest e paese coinvolto nei conflitti mediterranei. Lo scontro a bassa intensità nella striscia di terra Italia sul confine Est-Ovest, complicò il gioco dell'Italia nel mediterraneo (conflitto Israele-Palestina, guerra del petrolio, espansionismo islamico, ritorno di fiamma del colonialismo inglese e francese e uno scontro con il soverchiante dominio statunitense. Non sfuggì all'occhio attento del magistrato e all'acutezza dell'analista il gioco interno nel campo comunista e soprattutto l'osservazione delle tendenze vive della Germania dell'Est a giocare un ruolo di guida europea del comunismo internazionale.   È intorno alla questione della sovranità limitata che si stabilirà il valore di una ricerca storica libera dai vincoli delle verità giudiziarie e paragiudiziarie. La riduzione di sovranità entrò nella nostra Costituzione con l'art.11. I costituenti, però, la subordinarono a due vincolanti condizioni: 1-la limitazione deve essere necessaria "ad un ordinamento che assicura la pace e la giustizia tra le nazioni"; 2-il consenso alla limitazione può essere dato solo in condizione di parità con gli altri Stati. Accanto alla sovranità limitata visibile (quella degli accordi internazionali) vi è la sovranità limitata per interferenze, utilizzate per inviare messaggi e correzioni di linea per i Governi che lavorano nella direzione della liberazione dai vincoli limitativi. Lo Stato-Nazione vive se ha un popolo, un territorio, una sovranità. L'Italia di frontiera ha avuto un popolo diviso, un territorio con larghe fasce di terra di nessuno, una sovranità ridotta. Questa condizione fu difesa dall'atlantismo puro e dall'ortodossia comunista. Il processo di emancipazione liberatoria dai vincoli di limitazione nel rispetto delle alleanze fu lento e difficile tra le forze di governo ed ancora più lento nelle forze di sinistra che tutelavano la simmetria internazionale delle limitazioni. Ma perché ancora oggi la verità storica su Ustica e su la strage di Bologna è sussurrata (responsabilità francese per l'una e vendetta palestinese per l'altra) e non è gridata a voce alta? Io penso e quindi azzardo un ragionamento non sottovoce. L'Italia aveva due debolezze: la zona di frontiera Est-Ovest e la collocazione scomoda nel Mediterraneo perché essa era nel bel mezzo di conflitti bellici, economici e di spazi vitali altrui. Il Muro di Berlino ha fatto cadere la prima debolezza e non ha risolto la seconda questione. Per la ricerca storica liberatoria abbiamo bisogno che le fonti interne siano alimentate dalla collaborazione internazionale. Ma dubito che ciò possa avvenire in forma completa ed esaustiva perchè la verità storica metterebbe in evidenza la sovranità limitata per interferenze abusive e rivelerebbe episodi di guerra non convenzionale combattuta sul nostro territorio. L'Italia fu terra di guerra fredda accettata e di guerra calda subìta. Oggi è chiuso il grande scontro Est-Ovest. L'impero sovietico si è disgregato territorialmente ma rinasce come potenza regionale con il mito della Grande Russia neozarista. I Paesi del Patto di Varsavia sono entrati nella Nato. Però i conflitti di area, sovratutto quelli mediterranei e medio-orientali sono in piedi. In questi ultimi ventanni i governi italiani hanno visto la partecipazione e la guida di tutte quelle forze che furono escluse nella prima fase dell'Italia repubblicana. Queste forze hanno ottenuto la legittimazione internazionale dopo aver sostenuto le difficili prove di esame nel saper rispettare in continuità le regole del gioco. Hanno saputo partecipare alle guerre nel mondo e non hanno chiesto conto del passato. È un paradosso ma è così che va il mondo: quando si va al potere, per un incidente della storia, nelle forze che a lungo hanno subìto ed accettato il ruolo di opposizione, si affievolisce il desiderio di ricerca della verità. L'operazione: "autonomia della ricerca storica dalla storia per atti giudiziari o paragiudiziari" richiede una forza politica così potente da ottenere dalle forze internazionali dominanti l'apertura degli archivi, le confessioni dei violatori della sovranità e l'incolpazione degli operatori occulti. Per ora continueranno a valere le verità giudiziarie come verità storiche, e le verità paragiudiziarie delle inchieste parlamentari come rappresentazione del quadro storico-politico. È molto difficile che la verità storica autonoma possa prendere corpo perché siamo in un circolo vizioso. Coloro che chiedono una revisione della verità giudiziaria si rivolgono all'autorità giudiziaria, e in sostanza si chiede una ulteriore stratificazione di verità giudiziaria a scapito della verità storica. L'unica lama di luce che vedo nel buio è che le nuove ricerche giudiziarie siano condotte da giudici, nutriti ed educati dai dubbi del Dr. Priore e che i nuovi narratori ufficiali sappiano seguire il metodo Fasanella. La verità indicibile del Dr. Priore deve diventare verità storica. Ma anche questa luce può spegnersi se alla vecchia sovranità limitata si aggiungessero nuove sovranità limitate. In passato vi furono governanti coraggiosi che seppero porre in discussione la dilatazione della sovranità limitata. Ma finirono male. Le nuove sovranità limitate potrebbero imporsi se prevarrà l'idea che il vincolo estero è sovranità assoluta e che la nostra sovranità è nel buon commercio. Sarebbe triste dover concludere che la generazione che fece dell'Italia la quinta potenza del mondo ha ceduto lo scettro a chi crede che il nostro orizzonte sia Tangeri, terra di lucrosi traffici e di belle donne.  

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