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Sorrentino va in Usa

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Il regista napoletano Paolo Sorrentino

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Per la prima volta, viene realizzato un film italiano con degli investimenti a cui partecipa anche una banca. Imi, controllata di Intesa San Paolo, ha investito 2,5 milioni di euro nella produzione insieme con Medusa, Lucky Red e Indigo per il film di Paolo Sorrentino «This must be the place». «Un avvicinamento al mondo del cinema - ha detto l'ad Corrado Passera - partito già un anno e mezzo fa con il progetto Per Fiducia», lanciato dai registi Olmi, Salvatores e Sorrentino. Per il presidente di Medusa Carlo Rossella, «siamo davanti a qualcosa di veramente storico», mentre per l'ad di Medusa Giampaolo Letta, questa iniziativa «segna un nuovo modo di fare cinema in Italia, dal punto di vista industriale, con la forte italianità di questo progetto», che vede il nostro Paese impegnato al 70% contro il 20% della Francia e il 10% dell'Irlanda. Anche il regista Sorrentino dice la sua, da New York, dove sta preparando le riprese della pellicola con i premi Oscar Sean Penn e Frances McDormand. Sorrentino, che effetto le fa essere al centro di un progetto così ambizioso? «Il cinema è un linguaggio universale, lavorare qui o in Italia è uguale, anche se mi rendo conto che lo sforzo economico non è quotidiano nel nostro Paese». Cosa racconta nel suo film? «È la storia della mia riconciliazione con l'adolescenza, con la musica di David Byrne. Protagonista è Cheyenne, rockstar ritiratasi dalle scene, che conduce la vita annoiata e monotona di un pensionato benestante, fino a quando decide di partire alla ricerca di quello che fu il persecutore del padre, un ex criminale nazista che si nasconde negli Stati Uniti. Solo dopo la morte del padre, Cheyenne viene a conoscenza del dramma che aveva vissuto come internato ad Auschwitz e dell'umiliazione inflittagli da un ufficiale SS. Cheyenne intraprende così un lungo viaggio che cambierà la sua vita, dovrà decidere se sta cercando redenzione o vendetta». È un viaggio nel cuore dell'America? «Non proprio, l'ambientazione è americana, sarà tutto girato in lingua inglese, ma la storia è europea e si muove su tre binari. È una commedia stralunata, data dal tipo di personaggio interpretato da Penn. Ma si basa anche sul mancato rapporto tra padre e figlio, sullo sfondo della feroce tragedia dell'Olocausto. E nello stesso tempo, c'è la ricerca di una forma di pacificazione con l'orrore nazista. Nell'insieme è un film solare, dove il protagonista non è portatore di misteri, ma di gioia: cerca di ricomporre due famiglie, la sua e quella dell'Europa intera». Come è nata l'idea di scegliere proprio Sean Penn per il ruolo della rockstar? «Lo incontrai a Cannes quando vinsi la Palma d'oro per "Il Divo". Mi disse di tenerlo presente per un mio prossimo progetto. L'occasione è arrivata. Per me Sean Penn è uno degli attori migliori che siano mai stati in circolazione. Come De Niro e Marlon Brando. Mentre Byrne, fondatore dei Talking Heads, premio Oscar per le musiche de "L'ultimo Imperatore", è già a lavoro sulla colonna sonora che, vi garantisco, non sarà affatto classica».

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