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Ottavia la ribelle

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Tiberiade Matteis Paladina della drammaturgia contemporanea, Ottavia Piccolo conferma per la terza volta il sodalizio con l'autore Stefano Massini, incarnando la portentosa figura femminile di Augustine che stimola e mette a nudo tre filosofi del calibro di Diderot, Rousseau e Voltaire nello spettacolo «La commedia di Candido», in scena al Manzoni da martedì al 21 febbraio. Appassionata testimone del ruolo morale e civile dell'arte scenica, l'attrice denuncia una congiuntura epocale poco favorevole, ma non ha nessuna intenzione di arrendersi alla soglia del suo cinquantesimo anno di carriera. Quali temi sono affrontati in questo testo? «Il "Candido" di Voltaire è il pretesto per raccontare dell'oggi con argomenti più che mai attuali. Massini ha approfittato del duecentocinquantesimo anniversario della pubblicazione del libro di Voltaire per parlare della stupidità della guerra, dell'intromissione della Chiesa nelle leggi, dello schiavismo e del timore dei filosofi di ricevere critiche dai colleghi». Cosa combina la sua Augustine? «È il personaggio che cuce i dialoghi di una sorta di spy story filosofica e fa esplodere il dibattito, attraversando le differenti situazioni con gli strumenti del teatro». Recitare le opere di autori viventi sembra la sua missione, ma ottiene il riscontro che merita? «Vedo un'ottima risposta da parte del pubblico a dispetto della pigrizia degli operatori culturali, sempre incagliati sui medesimi titoli. Considero Massini il mio Pirandello, a età invertite se pensiamo al legame con Marta Abba. Ritengo fondamentale e proficuo per un drammaturgo lavorare con attori che conosce. In questo caso il copione è stato pensato per me e per Vittorio Viviani che si misura con tutti e tre i filosofi». Cinquant'anni di teatro sulle spalle sono un bagaglio prezioso? «Mi sembra quasi impossibile e sento di dover imparare ancora tanto. Spero di arrivare a una veneranda età recitando, come Tedeschi o Scaccia. Il teatro è una battaglia: ci assumiamo responsabilità che non ci spetterebbero, ma dobbiamo parlare di politica e di società. Diamo fastidio e si mette a rischio la nostra sopravvivenza economica. È una forma di censura».

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