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Reagan, Wojtyla e Thatcher uniti da un insolito destino

Ronald Reagen, Karol Wojtyla e Margaret Thatcher (Fotomontaggio)

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Se la vita fosse un thriller sovranaturale, ci si sarebbe aspettati i seguenti colpi di scena. Ventisei mesi separavano l'elezione di Giovanni Paolo II da quella di Ronald Reagan, e Margaret Thatcher iniziò il proprio mandato più o meno nel mezzo. Meno di tre mesi (settanta giorni, ad essere precisi) separavano l'elezione di Reagan dall'attentato alla sua vita da parte di John Hinckley, il 30 marzo 1981. Giovanni Paolo II sopravvisse a stento ad un tentativo di assassinio soltanto quarantré giorni dopo, il 13 maggio dello stesso anno. E tre anni più tardi, la Thatcher uscì illesa quando una bomba dell'IRA volta ad ucciderla esplose al Grand Hotel di Brighton, il 12 ottobre 1984, uccidendo cinque persone e ferendone molte altre, tra cui il suo caro amico ed alleato, Norman Tebbit. Vi è quasi una precisione cinematografica riguardo a questa serie di crimini. Ne Il Presagio o ne L'Esorcista essi sarebbero stati prontamente interpretati come opera delle forze di Satana, nel tentativo di distruggere gli apostoli della speranza (...). Questa impressione leggermente inquietante è confermata dallo straordinario margine di sopravvivenza di tutte e tre le vittime degli attentati. Almeno due di tali potenziali vittime credettero che Dio fosse intervenuto a salvare le loro vite, e diressero le proprie azioni successive alla luce di tale convinzione. A volte, gli assassinii hanno cambiato il corso della storia; la Prima Guerra Mondiale ebbe origine da uno di essi. In queste circostanze, era il fallimento dell'attentato che avrebbe potuto cambiare la storia. (...). Il 13 maggio 1981, Giovanni Paolo II fu colpito da due proiettili esplosi da Mehmet Ali Agca, un sicario e terrorista turco, mentre il Papa passava accanto a lui nel corso di un giro in Piazza San Pietro alle ore 5 e 13 minuti del pomeriggio. Agca era rimasto in attesa nella seconda fila di pellegrini dietro le transenne di legno. Era solamente a sei metri di distanza dal Papa quando sparò con la propria pistola Browning 9 millimetri semiautomatica. La sua mira era buona. Agca colpì il Papa due volte, una all'addome e l'altra al gomito, ed il papa cadde immediatamente all'indietro tra le braccia del proprio segretario, Monsignor Stanilslaw Dziwisz. (...). Tuttavia Giovanni Paolo era stato estremamente fortunato. La pallottola di Agca mancò l'arteria addominale, la colonna vertebrale, e ogni principale centro nervoso nel passaggio attraverso il suo corpo. Lo fece di un millimetro o due. Essa venne probabilmente deviata dalla sua traiettoria originale per il fatto di aver colpito il dito del Papa (che risultava rotto), mancando pertanto quegli organi vitali che avrebbe altrimenti danneggiato. Il risultato della deviazione del proiettile fu che il Papa non morì sul colpo, non morì dissanguato in ambulanza, e non subì serie paralisi. Sia i medici del Papa che il suo segretario (tra le cui braccia egli era caduto quando venne colpito) erano d'accordo che ciò era "miracoloso". Il Papa stesso sottolineò qualche anno più tardi: "Una mano sparò e un'altra mano guidò il proiettile". Nel loro vivido resoconto del tentato omicidio di Giovanni Paolo II, Carl Bernstein e Marco Politi considerano di passaggio la traiettoria del proiettile: "Allo stesso modo del proiettile che uccise quasi Ronald Reagan, esso passò a pochi millimetri dall'aorta centrale". Reagan, d'altra parte, in un primo momento non si accorse che gli avessero sparato.   Jerry Parr, il capo della sicurezza della Casa Bianca, ed un altro agente, Ray Shaddick, spinsero il presidente all'indietro dentro la sua limousine ufficiale senza troppe cerimonie, gli saltarono sopra, e ordinarono all'autista di partire immediatamente per la Casa Bianca. Messosi a sedere, Reagan avvertì un forte dolore al fianco e si lamentò della rozzezza di Parr, dicendo: "Mi sa che mi hai rotto una costola". Un attimo dopo iniziò ad espettorare sangue rosso acceso. Sentiva ovviamente un forte dolore. Parr ordinò all'autista di cambiare percorso e di dirigersi alla sala di emergenza nel vicino George Washington Hospital. Tastò inoltre le costole e la schiena del presidente ma non fu in grado di trovare alcun segno di infortunio. (...). Nelle prime ore del mattino del 12 ottobre 1984, Margaret Thatcher era nella suite del primo ministro del Grand Hotel, a Brighton, mentre completava il proprio discorso per la conferenza annuale dei conservatori da tenersi più tardi, quello stesso giorno. Le sue sessioni di scrittura dei discorsi erano sempre occasioni di stakanovismo durante le quali diversi redattori di discorsi lavoravano su testi in continuo mutamento. In quella occasione, la Thatcher, i redattori ed il suo vicino collaboratore Norman Tebbit (un ex-giornalista con il dono della frase ad effetto) avevano lavorato nel corso di una serata interrotta soltanto dalla sua visita all'annuale Ballo degli Agenti Conservatori. Completarono la versione definitiva del discorso alle 2,40 del mattino. I brani riscritti vennero affidati alle segretarie nella hall per essere battuti a macchina. Il primo ministro usò un attimo il bagno. Fece ritorno nella suite per trattare di affari governativi ufficiali, ancora in vestito da sera, con Robin Butler, il segretario di gabinetto. Discussero su un promemoria riguardo al prossimo Liverpool Garden Festival.   Alle 2,54 del mattino, mentre Butler stava mettendo via le carte, essi udirono un "forte rumore sordo" seguìto dal rumore di muratura che cadeva. Capirono all'istante che si trattava di una bomba ma non avevano alcuna idea di dove avesse potuto esplodere. Pensarono che si trattasse di un'auto-bomba. Di fatto, la bomba era esplosa all'interno dello stesso Grand Hotel, essendovi stata piazzata tre settimane prima da terroristi dell'Ira che si spacciavano per turisti ed essendo fatta esplodere attraverso un sofisticato dispositivo a tempo. Né la stanza principale, né la camera da letto della suite del primo ministro subirono danni peggiori di qualche vetro rotto. Denis Thatcher, che stava dormendo nella suite, uscì per verificare che sua moglie fosse salva e quindi rientrò per vestirsi. A questo punto altri entrarono nella suite per controllare che i Thatcher non avessero subìto alcun danno - ministri, mogli dei ministri, investigatori, inservienti e aiutanti. Non fu permesso a nessuno di uscire dall'albergo finché la polizia non si fosse assicurata che nessuna delle uscite fosse bloccata o dotata di una trappola esplosiva. Butler mise via i documenti governativi, e le segretarie dissero esattamente la cosa giusta al primo ministro: "Tutto a posto, Primo Ministro, il discorso è completamente al sicuro". Quindi, alle 3,10, soltanto sedici minuti dopo l'esplosione, i poliziotti scortarono la squadra del primo ministro attraverso l'albergo sconquassato fino ad una automobile in attesa. "L'aria era piena di spessa polvere di cemento - ricordava la Thatcher nelle sue Memorie - Era nella mia bocca e ricopriva i miei vestiti mentre mi arrampicavo tra oggetti abbandonati e mobili rotti verso l'entrata posteriore dell'albergo".  

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