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Adolescenza e disamore, "Benji" diventa pazza

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L'attrice Paola Di Meglio

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Il disagio psichico suscita tenerezza e rabbia nel monologo «Benji. Una storia di schizofrenia», incarnato da domani sera al 31 gennaio nella Sala Artaud dell'Orologio da Paola di Meglio che ha scoperto in libreria il testo di Claire Dowie e si è adoperata per metterlo in scena ricorrendo alla regia di Cesare Lievi. È il curioso caso di una fascinazione forte vissuta tra un'attrice e il suo personaggio: una ragazza come tante racchiude in sé le ferite inferte da un'infanzia poco serena. Il pubblico viene coinvolto in un'avventura emotiva contraddittoria che invita a curare di più i rapporti con gli altri, ma anche a cercare di guardarsi dentro per migliorare il proprio cammino evolutivo. Come è nata la voglia di rappresentare questo testo? In una libreria di Venezia ho visto il libro rosso della Gremese con le opere di Claire Dowie e ho letto per dieci minuti in piedi questa storia. Subito ho capito che volevo recitarla. Il giorno dopo ho comprato le altre copie disponibili nel timore che un'altra attrice più nota di me si invaghisse della medesima idea. Intendevo mettermi subito in contatto per ottenere i diritti». Ed è riuscita a impossessarsene. «Li ho chiesti ad Anna Parnazzini che traduce e rappresenta l'autrice in Italia. Poi ho scritto al direttore dell'Ente Romagna Teatro che produceva lo spettacolo "Erano tutti miei figli”, in cui stavo recitando: il progetto gli è piaciuto e si è presto concretizzato con la regia di Lievi. Cosa l'ha colpita di questa figura femminile? Ho riflettuto su quanto tutti noi possiamo impegnarci per evitare che gli esseri umani provino disagio. Una ragazza racconta episodi abbastanza normali della sua infanzia, da cui emerge una condizione di disamore e di inadeguatezza che la porterà alla schizofrenia. Mi ha intenerito la capacità tutta infantile di memorizzare dettagli e sensazioni in cui mi sono rispecchiata. Questo personaggio, però, non dovrebbe solo commuovere, ma stimolare una certa rabbia: mi piacerebbe comunicare al pubblico che da sola avrebbe potuto e dovuto esprimere meglio quello che aveva dentro. Ha un sogno nel cassetto? Il cinema. Mio nonno era il regista Leonardo De Mitri: non l'ho mai conosciuto perché è morto a quarant'anni, ma da piccola giocavo con i suoi ciak di legno.  

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