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Non convince lo scialbo Schiaccianoci

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Il balletto capitolino, lodevolmente animato dalla pluripremiata ditta Fracci-Menegatti, vive al Teatro dell'Opera di una copiosa programmazione irradiata su tre fronti: il grande repertorio del primo Novecento targato Balletti russi di Diaghilev (stupendo), i grandi titoli del repertorio ottocentesco con qualche discutibile ritocco (voto: sette più), infine le novità espresse dal Nazionale, della serie necessità fa virtù (spesso insufficienti). Ora per la prima volta, per cause economiche e di coordinamento della programmazione, un grande classico del ballo tardoromatico viene dirottato dal palcoscenico maggiore del Costanzi a quello angusto del Nazionale. In spazi scenici inadeguati va così in scena fino a S. Silvestro il balletto più natalizio che ci sia. Per l'atmosfera e il plot Lo Schiaccianoci di Ciaikovsky, immerso in pacchi natalizi, in foreste innevate, in abeti addobbati tra tanti bambini festanti e vacanzieri, altrove è a buon diritto un must irrinunciabile delle feste di fine d'anno. Ma questa volta il «pacco» più grande è toccato al pubblico. L'Opera di Roma invece di investire nella sana ripresa di un'edizione di tradizione, già per altro applaudita le stagioni scorse di questi tempi, vara al Nazionale uno Schiaccianoci nuovo di zecca coreograficamente firmato da Luc Bouy che lo trasforma, da balletto-fiaba scritto da adulti col cuore di bambini (Petipa, Ciaikovski e il librettista Vsevolosky) tanto da consentirne una lettura psicoanalitica, in una sorta di infantile e scialba commedia in maschera con troppi bambini in scena (i pur bravi allievi della Scuola di ballo del Teatro). Forzatamente condizionata ne risulta la sintassi coreografica (si respira solo con il passo a due originale di Ivanov danzato con nitidezza da Riccardo Di Cosmo e Alessia Gay). Voglio ma non posso anche per la musica di Ciaikovsky, resa incolore in una volonterosa e a tratti velleitaria trascrizione per due pianoforti (come dire un Van Gogh in bianco e nero). Per non parlare dell'angusto spazio scenico che riduceva un balletto di massa in uno striminzito spettacolo cameristico con stipiti che scendono e salgono immotivatamente. Un flop cui non sono però mancati alla fine gli applausi delle partecipi famiglie degli allievi, impegnati in una produzione nata per loro in uno spirito quasi da saggio scolastico.

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