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Orientarsi nella realtà con dolente rassegnazione

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RacheleZinzocchi "Wozu Dichter in dürftiger Zeit?". "A che servono i poeti in tempo di povertà?". Questo si chiedeva il poeta tedesco Friedrich Hölderlin un paio di secoli fa, e questo ci chiediamo oggi, in un'epoca come la nostra, di crisi e recessione, depressione e povertà, in un senso non solo materiale, ma spirituale, intellettuale. L'età che il filosofo Heidegger avrebbe definito "della scienza e della tecnica", in un orizzonte concettuale dominato da tecnologia e multimedialità, ben può esser chiamata "tempo triste". Come fa Ilvo Diamanti, professore di Scienza e Sociologia politica ad Urbino e editorialista di Repubblica. «Sillabario dei tempi tristi» (Feltrinelli) il titolo del suo nuovo libro: "un diario personale, scritto sul filo dei sentimenti", spiega, dove l'analogia coi versi di Hölderlin che abbiamo voluto ricordare all'inizio è, ammette, "tutt'altro che occasionale. La mia "tristezza" però è una chiave di lettura non valutativa. Vuole lasciar emergere il pathos con cui mi pongo verso la realtà. "Tristezza" è la sofferta ma realistica accettazione della difficoltà di riconoscerci oggi nella società". "Auguri" e "Ultrà", "Bene comune" e "Figli", "Natale" e "Ronde": sono solo alcune delle "bussole" di questo sillabario ironico e dolente. "Gli "auguri" sono emblematici. Scambiati ormai quasi solo per sms o via email, sono un modo per guardare, relazionarsi all'altro, restando però fuori da questa relazione. Idem con un'altra parola chiave, "rotatoria": metafora perfetta - come scrivo nel libro - per rappresentare una società che assiste, senza reagire, alla scomparsa del suo territorio, delle relazioni fra persone, sempre più sole, racchiuse in nicchie, come le automobili, che le allontanano dagli altri e le rendono più aggressive". È insomma una "società "rotatoria", senza futuro e "presentificata", in un eterno presente che gira intorno a se stesso". E poi ci sono gli "occhiali", protagonisti di un capitolo inedito. Nel libro si legge: "Gli occhiali neri li portano - e li portiamo - tutti. Come l'Ipod si usano non per "distinguersi", ma per "distanziarsi" dagli altri. Servono a vedere senza essere visti. A scrutare senza essere scrutati. L'uomo che guarda senza essere visto pur sapendo che tutti gli altri lo guardano. Una società guardona e guardata al tempo stesso. Per paura degli altri, nasconde - e sta perdendo - gli occhi". Una società dunque che, seppur oggi come mai multimediale, "condivisa" nelle molteplici connessioni della rete e del web, di network e social network, si chiuderebbe però nella sua identità digitale, chiamandosi fuori da qualsiasi rapporto reale. Chiediamo, "provocando": "I social network non potrebbero forse rappresentare invece, ottimisticamente, la forma più adeguata oggi per riscoprire forme autentiche di rapporto con gli altri, presupposto inatteso ma efficace di "ritorno al territorio"?". Risponde Diamanti: "Il mio concetto di "tristezza" è volutamente ambiguo: lascia spazio a più interpretazioni. I social network sono l'esaltazione di Pirandello: presento di me quel che voglio presentare. Io lavoro su Internet dagli anni Settanta, ma sui social network non son mai voluto entrare. Non so se saprei gestire le mie "due" facce. Anche qui comunque sospendo il giudizio. Però lo confesso: preferisco sempre la "tristezza" all'ottimismo. Così non resto mai deluso".

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