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Caro Scarpa, la tua pseudo-rivoluzione dà ragione a Scurati

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Detto questo, parliamo pure della polemica estiva scoppiata tra gli scrittori Antonio Scurati e Tiziano Scarpa. Tutto nasce nella finale del premio Strega, quando Tiziano Scarpa, con "Stabat mater" (Einaudi), e Antonio Scurati, con "Il bambino che sognava la fine del mondo" (Bompiani), si contendono fino all'ultimo voto il prestigioso premio letterario (Tiziano Scarpa, come sappiamo, avrà la meglio su Scurati per un solo voto). Già agli sgoccioli dello scrutinio, Scurati, intervistato da Franco Di Mare per la Rai, lancia il sospetto che Scarpa sia stato previsto come ultimo intervistato perché considerato vincitore in partenza. Aveva evidentemente torto Scurati, visto che ha perso per un voto. Scarpa, invece, vincendo, si è mostrato alla platea degli Amici della Domenica, e al pubblico seduto a casa, con imbarazzante faccia chapliniana (Chaplin mascherato da Hitler). E mentre Scarpa si bagnava il collo con il giallo liquore della vittoria, Scurati, nero in volto, mal dissimulava la delusione. Chi arriva secondo, commentava amaro, non "ciapa nient". E fin qui, tutto normale, ché ognuno, chiaramente, cercava di portare acqua al proprio mulino. Ma qualche giorno fa è scoppiata su "Vanity fair" e su "Repubblica" la faida tra i due. Scarpa accusa Scurati di essere un greve soldato mediatico, Scurati accusa Scarpa di essere un finto alternativo, sempre pronto a ridicolizzare il potere, salvo pubblicare con Einaudi, e vincere lo Strega, che non è proprio il premio dei centri sociali. Chi ha ragione tra i due? Forse la ragione, questa volta, ce l'ha Scurati. Con tutti i limiti della sua posizione mediatica - sa orchestrare fin troppo bene l'attenzione su di sé - questa volta Scurati è abbondantemente nel giusto. Scarpa ha chiuso la polemica dicendo che è meglio farla finita, ci sono cose più serie a cui pensare. Ma noi non possiamo non considerare la storia di Tiziano Scarpa, uno che ha sbeffeggiato tutti, che ha gettato fango su quanti rappresentavano un potere, salvo trasformare il suo antipotere aggressivo in nuovo "potere" ufficiale. Almeno Scurati, da questo punto di vista, non ha mai avuto l'ipocrisia di nascondere le proprie ambizioni, il proprio desiderio di successo (sia pure acquisendo potere mediatico attraverso la critica del sistema mediatico). In tutto ciò non si capisce il senso di un articolo di Pientrangelo Buttafuoco pubblicato su "Il giornale", dove l'intellettuale fascio-barocco interviene nella polemica dicendo, in sostanza, che lui è sempre stato considerato un appestato di destra, mentre questi due, fingendo di litigare, godono comunque. Che avrà voluto dire? Che lui sarebbe una specie di Ezra Pound, un Grande Estromesso? No, Buttafuoco non è Pound, e poi uno che riceve nomine di Stato, che scrive su "Panorama" e pubblica con Mondadori non può lamentarsi di niente, secondo me. E poi grida vendetta la frase secondo cui Francesco Merlo sarebbe il più grande romanziere italiano, sia pure in absentia di romanzi scritti. Ma lasciamo correre. Con Tiziano Scarpa invece i conti voglio farli fino in fondo. E voglio dire che egli fa parte della peggiore razza intellettuale, ovvero di quelli che hanno utilizzato l'antipotere per avere potere, visibilità, successo. Metto da parte l'evidente fiacchezza del suo inutile romanzo, per dire con forza che siamo stufi di tutti questi pseudo Duchamp che fanno i baffi alla Gioconda, e poi pubblicano con le case editrici dell'odiato Berlusconi, e alzano con gioia le coppe dei premi letterari ufficiali. Tutto questo non è reato, anzi. Ma diventa stucchevole quando a farlo sono i Duchamp di provincia, i Debord di internet, i rivoluzionari dei miei stivali. Non guasterebbe, a questo punto, un po' di onestà, e incominciare a dire che essere nemici del potere non è segno di libertà e di onestà, perché molto spesso attraverso la critica del potere non si fa altro che costruire un nuovo potere a propria immagine e somiglianza. Infine, tanto per essere onesti, vorrei ricordare ai lettori che nessuno, in questa querelle, ha sentito il dovere di dire una sola parola in favore di Daniele Del Giudice, dato per vincitore alla vigilia della cinquina, e scomparso dalle scene ai primi sentori di polemiche. Era davvero lui il mostro acchiapatutto? Non è che per caso qualcuno gli dovrebbe chiedere scusa? Dopo aver visto Scarpa all'opera, forse era meglio far vincere Del Giudice. Ma è andata così, e la storia non si fa con i "se".

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