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Stregato dall'asino di Fusine

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Infattiera maestra. Il paese si chiamava Fusine, e la valle in cui si trovava cominciava nei pressi di Tarvisio e arrivava fino in Jugoslavia, oggi Slovenia. Erano gli anni Trenta, e le vacanze in montagna, specie se prolungate come le nostre, erano un privilegio di pochi. Ma noi andavamo lassù non perché avessimo denaro da spendere per ciò che era considerato un lusso, ma per una ragione ben diversa. Infatti mia madre soffriva di febbricole che sembravano senza ragione, ma sia lei che i medici temevano potessero costituire il preludio della malattia allora più temuta, la tisi. Perciò veniva consigliata l'aria pura e molto ossigenata delle altitudini. Era una grossa spesa per la mia famiglia, ma la salute valeva di più. Mia madre aveva letto e riletto un bestseller dell'epoca, Un giorno a Madera, di Paolo Mantegazza, dove si parlava di tisi e sanatori, perché riteneva che quel libro contenesse la chiave del suo destino. Ci ospitava una famiglia di lingua tedesca, brava e laboriosa gente di montagna. La madre, Àgnes, una volta alla settimana si recava in Jugoslavia, a Ratece. A volte la donna mi portava con sé. Le guardie di frontiera non le chiedevano nemmeno il passaporto, e dubito che Àgnes ne avesse uno. Conoscevano la donna, e sapevano bene che non era una contrabbandiera, ma una casalinga che cercava di risparmiare qualche lira. Io non ero attratto dalla lunga camminata, ma da ben altro. A calamitare la mia attenzione era il carrettino di Àgnes, che serviva a trasportare con minore fatica le molte provviste acquistate. Forse sognavo che quell'oggetto fosse mio e lo potessi utilizzare nei miei giochi. Avevo soltanto tre anni, ma già ero attirato da tutto ciò che era prodotto dall'ingegno artigianale degli uomini, perché, come molti friulani, ero un artigiano in pectore. Il tempo poi l'avrebbe dimostrato. A due passi dalla casa di Àgnes v'era un altro carretto, più grande, e ricco di ben altri fascini. Non ricordo se fosse più bello del primo; ma in più v'era il fatto che veniva tirato da un asinello stupendo. Sia l'asino che il carrettino appartenevano a due ragazzi sui quindici anni, che, se ricordo bene, erano figli di un ingegnere. Quando facevano uscire il veicolo e l'animale dalla rimessa, e portavano entrambi sulla strada, io ne ero attratto come da un magnetismo stregato. Tutti i bambini amano gli animali, ma nel mio caso c'era dell'altro. L'asinello (molto piccolo, una specie di pony asinino, grigio, di forme perfette, tenuto dai proprietari con ogni cura) per me era un miracolo vivente. Se avessi potuto salire sul carrettino, come i due adolescenti, e farmi tirare per un bel pezzo di strada, magari fino a Tarvisio, o, dalla altra parte, fino a Ratece, mi sarei sentito qualcosa di più del Piccolo Principe di Saint-Exupery, o del Delfino di Francia, che sarebbe diventato il Re Sole, quando usciva con la sua carrozza dorata tirata da quattro cavalli, come si vede nel film di Rossellini. Mi sarebbe parso di entrare in una altra dimensione del mondo; nel Paese dei Balocchi, o nel Paese delle Meraviglie di Alice, dove trionfavano non cappellai fuori di testa o gatti magici, ma asinelli perfettamente lucidati. L'asinello delle mie estati in Fusine Valromana aveva tutte le virtù. Era intelligente, paziente, tranquillo, obbediente, amava i ragazzi cui apparteneva, i quali subito ottenevano da lui ogni cosa possibile. Si lasciava accarezzare senza mostrare alcuna reazione, come fanno i cavalli da sella, spesso nervosissimi. Ne vedevo spesso, nei pressi del Fusine, cavalcati da ufficiali, che li esercitavano alla corsa nei sentieri che conducevano a due piccoli laghi, in cui si specchiavano bellissime montagne, come i Mangart, il Jof Fuart e le Ponze. Una volta ci spaventarono perché sbucarono all'improvviso da una curva del sentiero, e mancò poco che non fossimo travolti. No, niente cavalli. La mia simpatia andava agli asini. Né, diventato più grande, capivo la ragione per cui nella letteratura e nella mentalità popolare erano visti come modelli di stupidità. Persino il grande Collodi era caduto nel tranello. Ne capivano di più gli uomini delle civiltà contadine, che spesso, per i loro trasporti, nei lavori di pazienza e di fatica, preferivano l'asino al cavallo, specie nel Sud dell'Italia. Anche in Friuli v'è un'attenzione un po' umoristica per gli asini. In un paese che si chiama Fagagna v'è una notissima e antica "corse dai mus", ossia una corsa degli asini, che attira spettatori da tutte le parti. E anche in letteratura vi sono delle eccezioni. Chi non conosce la novella L'asino di San Giuseppe del Verga? E il Carducci ricorda l'asino con simpatia in Davanti a San Guidio, e gli dedica un bellissimo sonetto delle Rime Nuove. L'asinello delle mie estati a Fusine è un'immagine che mi sono portato dentro, con una sorta di magnetica venerazione, per settantasei anni. I proprietari non mi fecero mai salire sul carrettino, né mi autorizzarono ad accostare l'animale per fargli una carezza. Forse non mi rivolsero mai la parola. Forse ritenevano che fossi troppo piccolo per farlo, o mi vedevano come un intruso e uno spettatore indesiderato. Certo non hanno mai immaginato che un carrettino e un asinello avrebbero avuto in me la resistenza e il fascino delle corse da ricordare per tutta la vita.

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