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«La danza è un grande amore»

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LorenzoTozzi SPOLETO Da due anni è stata chiamata a dirigere con la sua esperienza internazionale la Sezione Danza del rinato Festival di Spoleto. Così Alessandra Ferri, mito della danza italiana nel mondo, cerca di riportare il Festival dei Due Mondi ai fasti di un tempo, portando alla ribalta non solo coreografi consacrati come la compianta Pina Bausch o Jerome Robbins, ma anche giovani coreografi come i magnifici tre della serata inaugurale Coreographing today. Anche per questa sua promozione della giovane coreografia nel mondo, le è stato ieri assegnato il Premio Siae nell'ottica di una considerazione della creazione coreografica come bene d'autore tutelabile. Che effetto le fa aver attaccato due anni fa le scarpette al chiodo? «Era una decisione ponderata e quindi non è stata traumatica. L'ho vissuta come un nuovo inizio. Personalmente guardo sempre avanti. Avevo l'entusiasmo di iniziare una nuova fase che mi consentisse di dedicarmi più alla famiglia ed alle mie figlie. Naturalmente il primo anno c'è stata un po' di malinconia, un turbine di emozioni... Volevo solo del tempo per meditare». Di cosa ha bisogno in questo momento la danza nel mondo? «Di grandi coreografi. Viviamo un momento di crisi e la danza riflette il mondo in cui viviamo. Oggi è più importante il successo, la fama veloce che i valori: più importante apparire che avere qualcosa da dire. Sembra che tutti possano fare tutto, ma non è vero. In Italia la situazione della danza va migliorando molto lentamente, ma per la cultura è un momento difficile. Non si capisce che la cultura ha un grandissimo ritorno sull'immagine di un Paese. È un grande guadagno, ma non solo economico, semmai lo diventa col tempo. Michelle Obama all'apertura dell'A.B.T. a New York ha detto: Io e mio marito crediamo che il nostro futuro verrà dalla mente creativa ed artistica e auspichiamo che i bambini abbiamo un'educazione artistica». Come ha fatto a conciliare lavoro e famiglia? «Non lo so. Questione di organizzazione, ma è stato anche faticoso. Non ho mai separato l'artista dalla donna: sono una donna che si esprime danzando, non una ballerina. Il lavoro è massacrante». Cosa pensa della TV e la danza? «Certe trasmissioni andrebbero riviste. Promuovere qualcosa di artistico va bene, ma non bisogna illudere come se tutti potessero riuscire. In Italia spesso per riuscire un danzatore deve espatriare». Cosa le manca della Bausch? «Con lei ho capito cosa significa essere donna in scena, essere se stessi con la propria carnalità realistica: molte emozioni ed una sacralità irripetibile…». Quali i suoi ruoli e quale partner preferiti? «Naturalmente Giulietta e Manon, ruoli che sento come miei, come anche la Carmen di Petit o la Signora delle Camelie di Neumeier… Il partner, Julio Bocca, col quale ho trovato un feeling artistico e umano. Siamo cresciuti insieme per 20 anni». C'è una connessione tra danza e filosofia? «La danza è un linguaggio, quindi un modo di pensare, un modo immediato legato ai sentimenti. Ha una disciplina così ferrea che ti obbliga ad un cammino». E tra danza e amore? «La danza è un grande amore. C'è un darsi completo che è come l'amore: in scena sei nudo nell'anima, sei senza difese».

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